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c o m m e n t o |
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mini, tra’ quali era uno notaio che si chiamava ser Vanni 1 e stava presso al Vescovado, onde costoro quando ebbono cenato, dissono: Vogliamo andarci trastullando un poco di notte; et accordati presono liuti et altri stormenti 2, et andarono cantando e sonando per la terra. Et ultimamente vennono a casa del detto notaio, e quivi sonarono e cantarono un pezzo per amore della donna sua, ch’era bellissima; ma in quel mezzo si partì Vanni Fucci con alcuni suoi compagni, et andaronsi trastullando in verso la chiesa maggiore; e trovando la porta aperta, entrarono dentro; et andando in verso la sacrestia, trovando anche la porta aperta, lasciata disavvedutamente aperta, entrarono dentro e venne loro in pensieri subitamente di prendere de’ belli fornimenti di quella sacrestia, che n’era molto ben fornita più che tutte l’altre, essendovi fra l’altre cose l’altare fornito tutto d’ariento. E prese di queste cose quante ne poterono portare, se ne vennono alli compagni che ancor sonavano e cantavano, e mostrarono quello che aveano furato; di che molti di loro stavano tutti smarriti, dicendo: Che avete fatto voi? Non potrete mai vendere queste cose, che non si sappia. Rispose allora il detto Vanni: Ben troveremo modo di cavarle fuori e venderemole: che fate? Pigliatele ora e portatele in qualche luogo in fino che pensiamo altro; e deliberarono di portarle a casa del detto ser Vanni notaio, perch’era più presso. La mattina quando li canonaci s’avvidono del furto, si lamentarono a’ signori, e i signori commisono al podestà la investigazione del detto furto, dandoli piena balia. Allora lo podestà, fatto sbandire che chi sapesse di questo furto, lo palesasse sotto grave pena, non trovandone nulla incominciò ad investigare delle persone di mala fama, e poneali al tormento: e non confessando di questo, che non v’erano colpevoli; ma d’altri malifici, ne fece giustiziar molti sì, che durò bene sei mesi, che ogni settimana ne facea giustiziare alquanti. Et in fine avendosi posto in cuore pur di ritrovare questo furto, venne alli orecchi del detto podestà che Rappino figliuolo di messer Francesco de’ Foresi era giovane di mala condizione, e ch’era colpevole in questo fatto, onde lo fece prendere e tormentarlo; e non confessando niente di questo furto, siccome colui che in ciò non avè3 colpa, il podestà fece uno comandamento a questo giovane, che se in fra tre di’ non confessasse di questo furto e manifestasse chi era colpevole, lo farebbe appiccare per la gola, onde di questo era grande dire per la terra. Et il padre et i parenti del giovane s’andavano raccomandando a’ cittadini, e non potendosi rimuo-
- ↑ C. M. ser Nanni
- ↑ C. M. strumenti,
- ↑ C. M. non aveo colpa — Il nostro Codice riporta — avè — che è regolare desinenza dall’infinito avere, alla quale l’uso vuole surrogata l’irregolare ebbe. E.