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628 | i n f e r n o xxiv. | [v. 106-120] |
la gola; e che subitamente incenda et arda e diventi cenere, e poi la cenere si raccolga per sè stessa e ritorni nella figura di prima, e questa pena si conviene a coloro che sono stati furi per sì fatto modo nel mondo: imperò che come la fraude del furto à occupato lo loro appetito; così lo serpente ferisce la gola: e come è arso per avarizia; così arda quivi: e come à abbandonata la ragione quando à furato, però diventi cenere: e perchè à conosciuto che à fatto male, e non à però satisfatto al peccato, finge che ritorni a simili pene, perchè le pene de’ dannati deono essere infinite. Et allegoricamente intese di così fatti che sono nel mondo, volendo mostrare le lor condizioni; cioè che sono uomini in quanto non sono abituati a furare, nè ànno proposito, nè volontà di furare; e poiché uno serpente li trafigge in sul collo à a dimostrare, che quando si truovano tra li tesori, subitamente la fraude del furto significata per lo serpente entra nell’appetito significato per la gola; ma finge l’autore che ferisca di rietro, perchè tale suggestione diabolica latentemente entra: e che arda subitamente s’intende per l’ardore della cupidità che incende l’anima: e che diventi cenere, s’intende che in quanto commette il furto, si parta dalla ragione: e che ritorni uomo significa che si riconosce aver mal fatto; ma pur non si ammenda del peccato; e però dice lo testo: Et ecco ad un, ch’era da nostra proda; cioè ch’era dalla ripa di là, ov’erano Virgilio e Dante: chi fosse si dirà di sotto, S’avventò un serpente, che il trafisse; cioè lo furò 1 in fin dinanzi, Là dove il collo alle spalle s’annoda; cioè in sul ceppicon 2 del collo: sempre per lo serpente s’intende la fraude, e per lo collo la gola che è dinanzi, come è sposto. Ne O sì tosto mai, nè I si scrisse; dimostra la subita mutazione, facendo comperazione dicendo che per li scrittori mai non si scrisse nè o, nè i, che sono due lettere che si scrivono più tosto, che tutte l’altre in una tratta, sì tosto, Com’ei s’accese et arse, e cener tutto Convenne che cascando divenisse; quel peccator trafitto dal serpente: E poi che fu a terra sì destrutto; quel peccatore; e questo significa lo cadimento nel peccato ove si perde la ragione, e per consequente l’umanità, La polver si raccolse per sè stessa: però che sè medesimo riconosce, E in quel medesmo ritornò di butto; cioè tosto ritornò quello che prima era; cioè uomo ragionevole, e conoscendo lo suo peccato et errore.
C. XXIV — v. 106-120. In questi cinque ternari l’autor nostro conferma quel che fu detto di sopra per una similitudine dell’uccel Fenice, che vive cinquecent’anni e pascesi in sua vita d’incenso e d’amomo, et al suo fine si fa nido di nardo e di mirra e d’altre cose odorifere, e per lo suo caldo incende lo nido et arde, e torna in ce-