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620 | i n f e r n o xxiv. | [v. 58-69] |
dinanzi: chè giacendo in piuma; et intende l’autore per questo, che per istare in dilicatezze non s’acquista fama, Sansa la qual; cioè fama: et è fama, secondo che si piglia in bene, chi avrà notizia con loda, chi sua vita consuma; cioè chi passa sua vita, che non acquista fama per le buone opere, Cotal vestigio in terra di sè lascia; cioè memoria: imperò che vestigio è la pedata del piè, che dimostra che quivi è stato il piè e così ne fa memoria, e però vestigio si può porre per la memoria, Qual fummo in aere; che non vi lascia alcuna memoria di sè, et in acqua la schiuma; che similmente niuna apparenzia di sè lascia, poi che è disfatta. E però; ora conchiude leva su; da sedere, vinci l’ambascia; cioè la fatica, Con l’animo che vince ogni battaglia; l’animo libero ogni cosa vince; e ponsi qui l’animo per la volontà e per la libertà dell’arbitrio, che ogni cosa, fatica e battaglia vince, e tentazione 1, quando vuole, Se col suo grave corpo non s’accascia; cioè non si pone giù, come si dice: Infelix anima trahitur per corpus ad ima. — Più lunga scala convien che si saglia; questo s’intende litteralmente della scala del purgatorio e del paradiso, come appare nel processo dell’opera; et allegoricamente intende che convenia purgarsi da questo peccato della ipocresia, nella quale mostra che fosse caduto l’autore, quando disse di sopra cap. xvi: Io avea una corda intorno cinta, con la contrizione, confessione e satisfazione; le quali cose intende per lo purgatorio: e finge che si salga: imperò che venire al peccato per opera o per considerazione è discendere, e partirsi da quello è montare, Non basta da costoro esser partito; cioè non basta, quanto alla lettera, d’essere uscito della materia della ipocresia, ch’ancora ci è a trattare altro, secondo il tuo proposito; et allegoricamente non basta essersi partito dal peccato: imperò che è necessario che li uomini si purghino da esso con quelli tre modi, che si richieggono alla purgazione, e poi è necessario che l’uomo salga alla virtù, volendo venire al desiderato fine, Se tu m’intendi; Dante, or fa sì che ti vaglia; d’avermi inteso; sforzati di procedere oltre e d’andare a purgarti.
C. XXIV— v. 58-69. In questi quattro ternari l’autor nostro fìnge che pervennono in sul ponte della settima bolge 2, dicendo: Leva’mi allor; io Dante per lo conforto di Virgilio, mostrandomi fornito Meglio di lena: che cosa sia la lena già è detto e dichiarato di sopra, ch’io non mi sentia: alcuna volta l’uomo mostra più forte che non si sente, per compiacere al suo maggiore, E dissi: io Dante a Virgilio: Va, ch’io son forte et ardito; ecco che si mostra con le parole quel che non sentia con l’opera. Et in questo si nota quanto li fosse malagevole uscire del peccato della ipocresia, nel quale fu