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600 | i n f e r n o xxiii. | [v. 94-108] |
che per lo peso convenia lor portare lo capo basso; e questo rispondea loro in pena debita, perch’elli aveano avuto nel mondo 1, simulando, santità, Mi rimiraron; cioè me Dante e non Virgilio sanza far parola; cioè sanza parlare, Poi si volsero in sè; questi due che erano venuti, che si maravigliavano così di Dante, e dicean seco; cioè con seco medesimi: Costui; cioè Dante, par vivo all’atto della gola; cioè nello spirare: imperò che certe arterie 2 sono nella gola che, quando l’uomo tira il fiato a sè, gonfiano; e quando lo manda fuori, calano. Et aggiugneano: E s’ei; cioè Virgilio e Dante, son morti; come sono li altri che sono qui, per qual privilegio; cioè autorità: privilegio è autorità conceduta da chi può; e però si dice benificio conceduto da principe a privata persona, Vanno scoperti; questi due, cioè Virgilio e Dante, della grave stola; cioè grave cappa? Poi disse a me; Dante l’uno di loro: O Tosco; cioè o Toscano: Tosco è secondo la Grammatica 3, ch’elli chiama Tuscos quelli di Toscana, ch’al collegio; cioè alla congregazione dell’ipocriti tristi, che così li chiama lo Evangelio ove dice: Nolite fieri sicut hipocritae tristes: tristi sono in effetto, e tristi si mostrano per parer santi et uomini di penitenzia. Molto disse Cristo nell’Evangelio contro l’ipocriti, perchè sono molto in dispiacere di Dio. se’ venuto; questo sermone si dirizza pur a Dante, e però dice: se’ venuto; in singulare, Dir chi tu se’; a noi, e manifestarti, non avere in dispregio; cioè non abbi a vile.
C. XXIII — v. 94-108. In questi cinque ternari l’autor nostro finge com’elli ebbe avvicendevole parlamento con quelli due incappati, dicendo così: Et io; cioè Dante, dissi, s’intende, a loro; cioè a quelli due: Io fui nato e cresciuto Sopra il bel fiume d’Arno; questo è quel fiume che passa per Fiorenza e Pisa, et entra nel mare di Pisa, alla gran villa; cioè Fiorenza: parla al modo di Francia che chiamano le cittadi ville; e dice grande, perchè Fiorenza è la maggior città di giro che sia in Toscana, e lo maggior popolo di suo’ cittadini, E son col corpo ch’i’ò sempre avuto; cioè sono vivo; e dice: ch’i’ò sempre avuto, a differenzia di loro ch’erano col corpo aereo, lasciato quel della carne: però che Dante finge nella seconda cantica che, quando l’anima si parte dal corpo, ella si veste di uno corpo aereo et in quello si rappresenta e pate e parla, et à l’altre passioni che si danno a quelli che sono morti. Ma voi chi siete; domanda Dante a loro, a cui; cioè a’quali, tanto distilla, Quant’io veggio, dolor giù per le guance; cioè gocciolano lagrime giù per le gote, che sono cagionate dal dolore, E che pena è in voi che si sfavilla;