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c a n t o xxiii. | 587 |
133Rispose adunque: Più che tu no speri,1
S’appressa un sasso, che dalla gran cerchia
Si muove, e varca tutti i vallon feri,
136Salvo che questo è rotto, e nol coperchia:2
Montar potrete su per la ruina,
Che giace in costa, e nel fondo soverchia.
139Lo Duca stette un poco a testa china,
Poi disse: Mal contava la bisogna
Colui, che i peccator di qua uncina.
142E il Frate: Io udi’ già dire a Bologna
Del diavol vizi assai, tra’ quali udi’,3
Che gli è bugiardo, e padre di menzogna.4
145Appresso il Duca a gran passi sen gì,
Turbato un poco d’ira nel sembiante;
Ond’io dall’incarcati mi parti’,
148Dietro alle poste delle care piante.
- ↑ v. 133. No per non truovasi adoperato per fuggire asprezza nello scontro di più consonanti. E.
- ↑ v. 136. C. M. coverchia:
- ↑ v. 143. C. M. Che il Diavol à vizi
- ↑ v. 144. C. M. mensogna.
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C O M M E N T O
Taciti, soli ec. In questo xxiii canto l’autor nostro intende 1 di trattare della ipocresia 2 la quale finge che si punisca nella sesta bolgia; e principalmente fa due cose: imperò che prima pone il lor processo e come pervennono nella vi bolgia; nella seconda parte, com’elli sollicita Virgilio che li faccia notizia d’alcuno di quella turba ch’elli truova nella vi bolgia, e quella incomincia, quivi: Perch’io al Duca ec. La prima si divide in v parti, perchè prima pone lo cammino che fece elli e Virgilio poichè si partirono da’ demoni, e il pensier ch’elli di loro avea; nella seconda pone quel che per lo suo pensiero disse a Virgilio e, la risposta che Virgilio li fe, quivi: Già mi sentia ec.; nella terza, com’elli e Virgilio pervennono nella vi