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c a n t o   xxiii. 585

73Perch’io al Duca mio: Fa, che tu truovi
      Alcun, che il fatto o il nome si conosca;1
      E li occhi, sì andando, intorno muovi.
76Et un, che intese la parola tosca,
      Di rietro a noi gridò: Tenete i piedi,
      Voi, che correte sì per l’aura fosca:2
79Forse ch’avrai da me quel che tu chiedi;
      Onde il Duca si volse, e disse: Aspetta,
      E poi secondo il suo passo procedi.
82Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta
      Dell’ animo, col viso, d’esser meco;3
      Ma tardavali il carco e la via stretta.
85Quand’ei fur giunti, assai con l’occhio bieco
      Mi rimiraron sanza far parola;4
      Poi si volsero in sè, e dicean seco:
88Costui par vivo all’atto della gola;
      E s’ei son morti, per qual privilegio
      Vanno scoperti della grave stola?
91Poi disse a me: O Tosco, ch’al collegio
      Dell’ipocriti tristi se’ venuto,
      Dir chi tu se’ non avere in dispregio.
94Et io a loro: Io fui nato e cresciuto
      Sopra il bel fiume d’Arno alla gran villa,5
      E son col corpo ch’ i’ ò sempre avuto.
97Ma voi chi siete, a cui tanto distilla,
      Quant’io veggio, dolor giù per le guance,
      E che pena è in voi che si sfavilla?
100E l’un rispose: O me le cappe rance
      Son di piombo sì grosse, che li pesi
      Fanno sì cigolar le lor bilance!6

  1. v. 74. ch’ al fatto al nome
  2. v. 78. C. M. per l’aire fosca:
  3. v. 83. C. M. In nell’ atto del viso,
  4. v. 86. C. M. Mi rimiravan
  5. v. 95. C. M. il gran fiume
  6. v. 102. C. M. Fan così cigolar