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584 i n f e r n o

49Come il Maestro mio per quel vivagno,
      Portandosene me sopra il suo petto,
      Come suo figlio, non come compagno.
52A pena fuor li suoi piè giunti al letto1
      Del fondo giù, ch’ei giunser in sul colle2
      Sovresso noi; ma non gli era sospetto:
55Chè l’alta Providenzia, che lor volle
      Porre ministri della fossa quinta,
      Poter di partirsi indi a tutti tolle.
58Là giù trovammo una gente dipinta,
      Che giva intorno assai con lenti passi,
      Piangendo, e nel sembiante stanca e vinta.
61Elli avien cappe con cappuzzi bassi3
      Dinanzi alli occhi, fatti a quella taglia,
      Che in Cologna pe’ monaci fassi.4
64Di fuor dorate son, sì ch’elli abbaglia;
      Ma d’entro tutte piombo, e gravi tanto,5
      Che Federigo le mettea di paglia.6
67O in eterno faticoso manto!
      Noi ci volgemo ancor pur a man manca
      Con loro insieme, intenti al tristo pianto.
70Ma per lo peso quella gente stanca
      Venian sì pian, che noi eravam nuovi7
      Di compagnia ad ogni muover d’anca.

  1. v. 52. C. M. fur i piè suoi congiunti
  2. v. 53. ch’ei furono in sul
  3. v. 61-2 con cappucci bassi Dinanti — Avieno; terza plurale dell’imperfetto, dalla terza persona singolare in e per uniformità di cadenza, ed originata dall’ infinito avire che odesi tuttora nella Sicilia. E.
  4. v. 63. Nel Codice Antaldino si presenta questa lezione « Che in Clogni per li monaci fassi » In Clogni appunto fu un monastero famoso infino da’ bassi tempi. E.
  5. v. 65. C. M. d’entro piombo tutte,
  6. v. 66 C. M. la mettea
  7. v. 71. Venia sì pian,