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[v. 106-117] | c o m m e n t o | 579 |
ziosi concetti l’uno all’altro, e però dice: Cagnazzo a cotal motto levò il muso: muso propriamente si dice la bocca del cane, et a questo demonio fu dato di sopra la figura del cane, Crollando 1 il capo; accorgendosi della malizia come sagace; e cotal atto fa chi s’accorge della malizia o chi minaccia, e disse; Cagnazzo: Odi malizia Ch’elli; cioè Giampolo, à pensato per gittarsi giuso; cioè nella pegola. Ecco il fine. Ond’ei: cioè Giampolo. ch’ avea lacciuoli; cioè inganni da pigliar quelli dimoni, come si pigliano li uccelli, a gran dovizia; questo dice, perchè non avea pochi; ma assai, Rispuose; a Cagnazzo: Malizioso son io troppo; ecco che confessa esser malizioso nel modo che dirà, per compiacere a’ demoni, Quand’io procuro a’ miei maggior tristizia; cioè a quelli che sono sotto la pegola, i quali finge esser maggior di sè, per farne più desiderosi li demoni i quali sono più vaghi di schernire e di straziare li grandi spiriti, che li piccoli; e questo disse Giampolo, perchè li demoni si scostassono più volentieri, com’elli volea, per gittarsi giuso. Ora dimostra l’officio e l’opra d’Alichino, fingendo che Alichino col suo parlare inclinasse la volontà de’ compagni a volgersi in là, e colui a voler fuggir da loro, in quanto dice: Alichin; cioè quel dimonio così chiamato, del quale fu detto di sopra cap. xxi, non si tenne; quando udì così parlare colui con Cagnazzo. ch’elli non rispondesse; et in questo si nota il subito movimento della volontà, e di rintoppo Alli altri; cioè innanzi alli altri demoni, disse a lui: cioè a Giampolo: Se tu ti cali; giuso nella pegola, Io non ti verrò dietro di gualoppo: gualoppare è meno che correre; ma è più che trottare, Ma batterò sopra la pece l’ali; et in questo lo induce a mettersi a fuggire, e li altri demoni a volgersi indietro; et aggiugne: Lascisi il colle; cioè gittianci d’in su questo colle, e sia la ripa scudo; cioè lascianci la ripa di rietro, come fa il cavalier quando combatte che si gitta lo scudo di dietro, per poter meglio menar le mani o per non esser ferito di dietro, se si mette a fuggire, A veder se tu sol più di noi vali; che siamo dieci: ecco la superbia del dimonio.
C. XXII — v. 118-132. In questi cinque ternari l’autor nostro finge come lo Navarrese ingannò li demoni, e prima fa lo lettore attento, dicendo: O tu, che leggi, udirai nuovo ludo; questo è dell’arte della Retorica di fare attento l’uditore, quando l’oratore vuol dire cosa giocosa; e così fa qui l’autore, promettendo di dire cosa nuova. Ciascun; delli demoni, dall’altra parte li occhi volse; cioè in verso la ripa sesta, Quel prima; che li altri demoni, ch’à ciò fare era più crudo; e questi fu Cagnazzo che scoperse la malizia. Lo Navarrese; cioè Giampolo, ben suo tempo colse; Fermò le piante a
- ↑ C. M. Grollando