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c a n t o   xxii. 563

76Quand’elli un poco rappaciati fuoro,1
      A lui, che ancor mirava sua ferita,
      Dimandò il Duca mio sanza dimoro:
79 Chi fu colui, da cui mala partita
      Dì che facesti per venire a proda?
      Et ci rispuose: Fu frate Gomita,
82Quel di Gallura, vasel d’ogni froda,2
      Ch’ebbe i nimici di suo donno in mano,3
      E fe sì lor che ciascun se ne loda.4
85Denar si tolse, e lasciolli di piano,5
      Sì com’el dice; e nelli altri offici anche
      Barattier fu non picciol, ma sovrano.
88Usa con esso donno Michel Zanche
      Di Logodoro; et a dir di Sardigna
      Le lingue lor non si sentono stanche.
91O me! vedete l’altro, che digrigna:
      Io direi anco; ma io temo ch’ello
      Non s’apparecchi a grattarmi la tigna.
94E il gran proposto volto a Farferello,
      Che stralunava li occhi per ferire,
      Disse: Fatti in costà, malvagio uccello.6
97Se voi volete vedere, o udire,
      Ricominciò lo spaurato appresso,
      Toschi, o Lombardi, io ne farò venire.
100Ma stien le malebranche un poco in cesso,7
      Sì ch’ei non teman delle lor vendette;
      Et io, sedendo in questo luogo stesso,

  1. v. 76. Fuoro, terza persona plurale del perfetto, venuta dalla terza singolare fo usata dagli antichi, a cui si aggiugneva ro o rono, interpostavi l’u per liscezza di lingua. E.
  2. v. 82. C. M. vagel d’ogni froda,
  3. v. 83. C. M. del suo donno
  4. v. 84. C. M. E fe lor sì
  5. v. 85. - Di piano; senza romore, senza strepito. E.
  6. v. 96. C. M. maligno uccello.
  7. v. 100. Cesso; cessazione, abbandonamento. Stien le malebranche un poco in cesso; cioè cessino, ferminsi un poco. E.