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526 | i n f e r n o xx. | [v. 46-51] |
discrive e dimostra come li abitatori vicini feciono la città in que luogo, quivi: Quindi passando ec.; nella quarta finge come rispose a Virgilio, e domanda delli altri, quivi: Et io: Maestro, ec.; nella quinta finge che Virgilio li mostri Euripilo, quivi: Allor mi disse ec.; nella sesta, come li dimostra ancora alquanti altri di sì fatto peccato infetti, quivi: Quell’altro ec.; nella settima finge che Virgilio lo solliciti al cammino et al processo dell’opera, quivi: Ma vienne omai ec.; Divisa la lezione, ora è d’attendere alla sentenzia litterale la quale è questa.
Continuando Virgilio la sua narrazione e nominazione incominciata di quelli dannati, dice così: E quella femina che ricuopre con le trezze 1 sciolte le mammelle le quali tu non vedi, perchè sono di là, et insieme le parti pilose del corpo: però che di là è la parte anteriore del corpo, fu Manto che cercò ove potesse avere sua abitazione per molte terre; e poi si pose ove è ora Mantova dove nacqui io Virgilio, che non v’era ancora abitazione veruna; onde un poco mi piace che m’ascolti. Poi che il padre di Manto morìe, e venne serva la città di Bacco; cioè Tebe, questa Manto andò gran tempo per lo mondo; onde al fine pervenne al luogo, che ora ti dirò. Suso nel mondo, nella bella Italia, giace uno lago a piè dell’Alpe che serrano la Magna, sopra una contrada che si chiama Tiralli; lo quale lago si chiama Benàco, nel quale lago discendono mille fonti e più tra del monte chiamato Garda, e del monte chiamato Valcamonica e del monte chiamato Apennino; et è posto questo lago in mezzo tra Trento e Brescia e Verona sì, che lo Vescovo di ciascuna di queste tre città se vi passasse, potrebbe segnare in quel luogo, perchè è comune a tutte e tre queste città, et è di loro giurisdizione. E quivi ove lo lago inchina, è uno castello bello e forte che si chiama Peschiera, atto ad essere alle frontiere ai Bergamaschi et ai Bresciani, e da quella lama l’acqua, che non può stare nel detto lago, piglia corso giù per li verdi paschi e fassi fiume, che non si chiama più Benàco; ma Mencio 2 in fino a uno castello che si chiama Governo: e quivi il Mencio perde il suo nome, per ch’entra in Po; e questo Mencio non corre molto, che truova una lama nella quale si distende, e fa una palude la quale suol essere talvolta di state inferma. E per questo luogo passando la vergine Manto, vide nel mezzo della palude a modo di una isola, sanza coltura et abitazione; et in quello luogo si ristette co’ suoi servi a fare sue arti magiche di che ell’era maestra; e quivi, per fuggire ogni consorzio umano, si ristette e visse e morì: e poi li uomini ch’erano sparti qui e d’intorno, si raccolsono in quel luogo, perch’era forte per lo pantano ch’era d’intorno, e feciono la