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si truova in una selva oscura smarrito dalla diritta via, e dice che cosa dura è a dire e faticosa, qual’era quella selva salvatica, aspra e forte, la quale pur nel pensiere rinnuova la paura, non che dirlo allora che vi si trovò. Et aggiugne che tanto è amara, che poco è più la morte; ma, per trattare del bene che vi trovò, dice che dirà dell’altre cose che vi à scorte; cioè de’ mali e delle pene: et aggiugne che non sa bene recitare il modo, come entrò in quella selva: tanto era pieno di sonno a quel punto ch’elli abbandonò la vera via. Ma poi che, andando per la detta selva, elli giunse a piè d’uno colle, dove terminava la valle che l’avea spaurito, guardando in alto alla cima del monte, vide i colli del monte vestiti de’ raggi del sole, che è pianeto1 che mena diritto altrui per ogni calle. Et allora dice che la sua paura fu un poco riposata, la quale gli era durata nel lago del cuore, la notte ch’elli passò con tanta pieta; cioè con tanta angoscia d’animo. E dice notte, perchè, la detta notte, mostra ch’avesse questa fantasia, sopra il venerdi’ santo, e fa una similitudine, che, come colui che con lena affannata giugne alla riva, passato il pelago, si volge a dietro all’acqua perigliosa e ragguarda il pericolo in ch’egli è stato; così l’animo suo, ch’ancor fuggiva, si volse a dietro a rimirar lo passo che non lasciò giammai persona viva. Et aggiugne che, poi ch’ebbe riposato il corpo stanco, riprese via per la piaggia diserta, per andar suso al monte, andando come si va per le piaggie2: chè il piè fermo è quello che è nel basso. E come egli era per montare in sul monte, dice che gli apparve uno animale che si chiama lonza, et è uno animale molto leggiere e presto et à la pelle sua maculata, e non li si partiva dinanzi dal volto, anzi impediva tanto il suo cammino ch’elli fu più volte per tornare addietro. E dice che allora era presso al di’, e il sole montava già suso al