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478 | i n f e r n o xviii. | [v. 40-66] |
può intendere per quelli che sono in tal peccato nel mondo: imperò che i nudi di buona fama tuttavia sono incitati al loro peccato con la forza del dimonio; cioè con la intenzione 1 et impulsione a ciò, infino che stanno in sì fatto peccato: imperò che lo seduttore è stimolato dalla avarizia e lo ingannatore dalla lussuria, e ciascuno è stimolato dalla fraude in detti et in fatti. Quante sono le parole simulate e li servigi simulati, che sì fatti peccatori usano e fanno a quelle femmine che si sforzano d’ingannare! Et ancor si può dire che sieno nudi: imperò quanto l’uomo sta nel peccato, tanto nudo è della grazia di Dio; e che dopo la prima sferzata non s’aspetti la seconda, nè la terza, per questi del mondo ancora è vero: imperò che quelli che sono fuori della grazia di Dio per la prima caduta nel peccato per la suggestione del dimonio, spesso poi vi caggiono per loro medesimi sì, che non aspettano l’altro incitamento del dimonio; anzi 2 vi corrono per loro medesimi pure per lo 3 peccato.
C. XVIII — v. 40-51. In questi quattro ternari l’autor finge come conobbe uno de’ seduttori, dicendo: Mentr’io; cioè Dante, andava; dietro a Virgilio, li occhi miei in uno; di quelli frustati, Furon scontrati; et io; cioè Dante, sì tosto dissi: Già di veder costui non son digiuno: imperò che altra volta l’ò veduto. Perciò a figurarlo i piedi affissi; cioè fermai; E il dolce Duca mio; cioè Virgilio, si ristette; ad aspettarmi, Et assentìo; Virgilio, che alquanto indietro gissi; io Dante, per andare con quel frustato. E quel frustato celar si credette Bassando il viso; suo; ma poco li valse; il bassare lo volto, Ch’io; cioè Dante, dissi: O tu, che li occhi a terra gette, per ch’io non ti conosca, Se le fazion che porti non son false; cioè che mostrino quel che tu se’, e non altro, Venedigo se’ tu Caccianimico; cioè messer Venedico de’ Caccianimici da Bologna, ch’è uno casato che così si chiama; Ma che ti mena a sì pungenti salse; per che colpa se’ condannato a sì fatta pena? E qui è da notare l’abominazione e il vituperio di tal peccato: finge ch’elli si volesse celare, e però non si nomina di sotto, se non per lo nome della patria.
C. XVIII — v. 52-66. In questi cinque ternari l’autor nostro induce a parlar messer Venedigo et a dir la cagione perchè fu dannato quivi; e dice che li rispose in questa forma: Et elli; cioè messer Venedigo, a me; cioè Dante: Mal volentier lo dico; ch’io fui; Ma sforzami la tua chiara favella; questo dice o perchè Dante l’avea nominato, o perchè Dante parlava latino, ch’è parlare chiaro più che l’altro, Che mi fa ricordar del mondo antico; cioè nel quale già lungo tempo era vivuto, e lungo tempo era passato poi che fu fatto quel mondo et aveane preso piacere; e di questo nostro mondo in-