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c a n t o   xviii. 469

49Se le fazion che porti non son false,
      Venedigo se’ tu Caccianimico;1
      Ma che ti mena a sì pungenti salse?
52Et elli a me: Mal volentier lo dico;
      Ma sforzami la tua chiara favella,
      Che mi fa ricordar del mondo antico.2
55Io fui colui, che la Ghisola bella
      Condussi a far la voglia del Marchese,
      Come che suoni la sconcia novella.
58E non pur io qui piango Bolognese;
      Anzi n’è questo loco tanto pieno,
      Che tante lingue non sono ora apprese
61A dicer sipa tra Savena e il Reno:3
      E se di ciò voi fede o testimonio,
      Recati a mente il nostro avaro seno.
64Così parlando il percosse un demonio
      Con la sua scuriata, e disse: Via,4
      Ruffian, qui non son femine da conio.
67Io mi raggiunsi con la Scorta mia:
      Poscia con pochi passi divenimmo
      Là dove un scoglio della ripa uscia.5
70Assai leggieramente quel salimmo,
      E volti a destra su per la sua scheggia,6
      Da quelle cerchie eterne ci partimmo.
73Quando noi fumo là, dov’el vaneggia7
      Di sotto, per dar passo alli sferzati,
      Lo Duca disse: Attendi, e fa che feggia

  1. v. 50. C. M. Venetico
  2. v. 54. Mi fa sovvenir
  3. v. 61. C. M. e Reno:
  4. v. 65. C. M. scorriada,
  5. v. 69. C. M. Dove uno scoglio
  6. v. 71. C. M. sopra la sua scheggia,
  7. v. 73. Fumo; voce primitiva e regolare e più prossima alla configurazione latina. E.