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456 | i n f e r n o xvii. | [v. 64-75] |
figliazzi che quivi finge esser dannato, e chi fosse altrimenti non si nomina. Poi procedendo di mio sguardo il curro; cioè seguitando lo scorrimento de’ miei occhi, Vidine un’altra; delle tasche, come sangue, rossa; cioè vermiglia, Mostrando un’oca bianca più che il burro; e per questo intende il casato delli Ebriachi 1, li quali fanno una oca bianca nel campo vermiglio; e questo finge perchè tra 2 loro qual che sia fu usurieri, e questi due casati furono fiorentini.
C. XVII — v. 64-75. In questi quattro ternari l’autor nostro finge delli altri che non erano fiorentini, che erano in quel luogo, e come uno è nominato che non v’era ancora, dicendo così: Et un, che d’una scrofa; cioè troia, azzurra e grossa; cioè la troia era azzurra e piena: altro testo dice, e rossa; cioè ch’era cinta di rosso in campo bianco, e però dice: Segnato avea lo suo sacchetto bianco; che li pendea dal collo; e per quest’arme intende la casa delli Scrovigne 3 da Padova, perchè in quella casa anche fu qualche grande usurieri; ma non lo nomina, Mi disse; a me Dante: Che fai tu in questa fossa; cioè in questo vii cerchio dell’inferno? Or te ne va; tu Dante, disse quell’anima; e perchè se’ vivo anco; ti dirò questo che seguita, ch’altrimenti non tel direi, Sappi che il mio vicino Vitaliano Sederà qui dal mio sinistro fianco. Questo fu messer Vitaliano dal Dente da Padova, il quale fu grande usuriere; e finge che, allora che Dante finse d’avere questa fantasia, non era ancora morto; ma era sì publico usurieri e sì apertamente 4 negava essere peccato, che però finge che quivi debba sedere; e dà questa pronosticazione a quella anima padovana e non a sè, per farla verisimile. Continua lo Padovano suo parlare, dicendo: Con questi Fiorentin; detti di sopra, son Padovano; io che ti parlo: Spesse fiate m’intronan li orecchi; cioè questi tuoi fiorentini a me padovano, Gridando: Vegna il cavalier sovrano; cioè misero e vano 5: imperò che è parlare ironico, Che recherà la tasca con tre becchi. Questi fu messer Giovanni Buialmonte 6 da Firenze, lo quale facea l’arme con tre becchi gialli di nibbio nel campo azzurro; e questo finse per quella medesima cagione che quello di sopra. Qui distorse la bocca; per lo dolore dell’arsura questo padovano che parlato avea, e di fuor trasse; della bocca, La lingua; per leccarsi le labbra per l’arsura ch’avea; e fa la similitudine, come il bue che naso lecchi. E qui finisce la lezione prima, seguita la seconda.
Et io temendo ec. In questa seconda lezione l’autor nostro dimostra lo suo descenso nel viii cerchio, e dividesi questa lezione