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c a n t o   xvii. 445

103Là ove era il petto, la coda rivolse,
      E quella tosto, come anguilla, mosse,1
      E con le branche l’aere a sè raccolse.
106Maggior paura non credo che fosse,
      Quando Fetonte abbandonò li freni,
      Per che il Ciel, come pare ancor, si cosse;
109Nè quando Icaro misero le reni
      Sentì spennar per la scaldata cera,
      Gridando il padre a lui: Mala via tieni;
112Che fu la mia, quando vidi ch’io era
      Nell’aere d’ogni parte, e vidi spenta
      Ogni veduta, fuor che della fiera.
115Ella sen va rotando lenta lenta:
      Rota, e discende; ma non me n’accorgo,2
      Se non che al viso e di sotto mi venta.
118Io sentia già della man destra il gorgo
      Far sotto noi un orribile scroscio;
      Per che con li occhi in giù la testa sporgo.
121Allor fu’ io più timido allo scoscio:
      Però ch’io vidi fuochi e senti’ pianti;
      Per ch’io tremando tutto mi raccoscio.34
124 E vidi poi, che nol vedea davanti
      Lo scendere e il girar, per li gran mali,5
      Che s’appressavan da diversi canti.
127Come il falcon, che stato assai su l’ali,
      Che sanza veder logoro o l’uccello
      Fa dire al falconieri: O me tu cali;

  1. v. 104. E quella tesa, - Cod. M. testè
  2. v. 116. C. M. ma io non m’accorgo,
  3. v. 123. Ond’io
  4. v. 123. C. M. mi riscoscio.
  5. v. 125. gridar,