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c a n t o   xvii. 443

49Non altrimenti fan di state i cani,1
      Or col ceffo or col piè, quando son morsi2
      O da pulci o da mosche o da tafani.3
52Poi che nel viso a certi li occhi porsi,
      Nel quale il doloroso fuoco casca,
      Non ne conobbi alcun; ma io m’accorsi,
55Che dal collo a ciascun pendea una tasca,
     Ch’avea certo colore e certo segno,
      E quindi par che il loro occhio si pasca.
58E com’io riguardando tra lor vegno,
      In una borsa gialla vidi azzurro,
      Che di un leone avea faccia e contegno.
61Poi procedendo di mio sguardo il curro,
      Vidine un’altra, come sangue, rossa
      Mostrando un’oca bianca più che il burro.4
64Et un, che d’una scrofa azzurra e grossa5
      Segnato avea lo suo sacchetto bianco,
      Mi disse: Che fai tu in questa fossa?
67Or te ne va; e perchè se’ vivo anco,
      Sappi che il mio vicino Vitaliano
      Sederà qui dal mio sinistro fianco.
70Con questi Fiorentin son Padovano:
      Spesse fiate m’intronan li orecchi,6
      Gridando: Vegna il cavalier sovrano,
73Che recherà la tasca con tre becchi.
      Qui distorse la bocca, e di fuor trasse7
      La lingua, come il bue che naso lecchi.

  1. v. 49. C. M. Non altramente
  2. v. 50. C. M. Or col zaffo (o ciaffo)
  3. v. 51. C. M. Da pulci o da mosconi o da tafani.
  4. v. 63. Mostrare un’oca
  5. v. 64. C. M. azzurra e rossa
  6. v. 71. C. M. E spesse fiate
  7. v. 74. C. M. Qui discorse