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et in paradiso è tutta carità; così pone che in inferno è tutta invidia: et ancora, perchè à mostrato ciascuno vago di fama, e ciascuno affetto dello stato che à avuto in questa vita. E soggiugne l’autore la sua risposta, dicendo: La gente nuova; cioè cittadini venuti e fatti di nuovo, e i subiti guadagni cioè fatti di subito, Orgoglio; cioè superbia e presunzione, e dismisura; cioè prodigalità, àn generata, Fiorenza, in te. E debbasi intendere che la novità de’ cittadini è stata cagione della presunzione sì, che in Fiorenza non è nè magnanimità, nè valore; ma presunzione, che ogni nuovo cittadino à tanta presunzione che vuole li onori come li antichi cittadini; e subiti guadagni sono stati cagione della dismisura nello spendere, e così non v’è cortesia; ma prodigalità: e questo è comunemente 1 che li uomini che arricchiscono di subito, sono smisurati spenditori; et aggiugne che in tanto sono cresciuti questi vizi, sì che tu già ten piagni; cioè ti duole di ciò, tu Fiorenza 2, vedendo a che inducono sì fatti vizi, come è presunzione e prodigalità, le citta. Così gridai; io Dante, con la faccia levata. Questo fu segno di cruccio 3 e d’indegnazione insieme col grido: imperò che a Dante increscea delli vizi della sua città; et ancora si può intendere che significhi ardire, e che mostrava che dicesse vero: imperocchè il vero si dice con ardire. E i tre; cioè detti di sopra, che ciò inteser per risposta; alla loro dimanda, Guardar l’un l’altro, come al ver si guata. Suole essere usanza che, quando li uomini odono una notabile cosa e vera, l’uno guarda l’altro, quasi dica: Bene odi! et ancora quando s’ode sentenzialmente parlare, li uomini maravigliandosi, guardano l’un l’altro.
C. XVI — v. 79-90. In questi quattro ternari l’autor nostro finge la commendazione della sua risposta, detta di sopra, e il dipartir 4 di sopra detti tre cittadini, dicendo così: Se l’altre volte; che tu parli, per rispondere a chi ti domanda, sì poco ti costa; come ora 5, s’intende, Risposer tutti; quelli tre cittadini detti di sopra a Dante, il satisfare altrui; cioè allo domandatore, Felice te; cioè noi diciamo te essere felice: chè; cioè imperò che, sì; cioè per sì fatto modo, parli a tua posta; cioè sì bene 6, sì sentenziosamente e severamente! Et è qui da notare che l’autore nella sua risposta approvò il dire di Guiglielmo Borsiere: imperò che Guglielmo chiamava valore quel che propiamente si dee chiamare presunzione, e cortesia quello che si dee chiamare prodigalità; e però dicea che v’era maggiore che non v’era stata al tempo di quelli tre, parendo così a lui che s’in-