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i n f e r n o xvi. |
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abbi lunga vita; e fagli questo scongiuro, per invitarlo 1 a dire il
vero, e ben dice conduca, che è vocabolo grammaticale e significa
tenere a prezzo le cose altrui: e veramente l’anima nostra sta nel
corpo nostro, come sta l’uomo in casa altrui che ne li conviene uscire
quando il signore della casa vuole; così l’anima n’esce, quando
vuole Idio che gli à prestato et accomandato così fatto albergo, rispose quelli allora; cioè messer Iacopo alla risposta che diede di sopra
l’autore, et aggiugne un altro scongiuro, E se la fama tua; cioè di
te Dante, dopo te; cioè dopo la tua vita corporale, luca; cioè risplenda; e questo dice, perchè tutti li poeti sono vaghi di gloria, e però
dicono che Pales 2 che s’interpetra gloria, è la idia de’ pastori, Cortesia e valor, dì, se dimora Nella nostra città; cioè in Fiorenza, sì come sole; cioè al tempo nostro, O se del tutto se n’è gita fuora;
della nostra città sì, che non vi sia più nè cortesia, nè valore? E qui
si dee notare che cortesia è, secondo che dice il Filosofo nell’Etica,
virtù reprimente l’avarizia e temperante la prodigalità: ella sta in
mezzo tra l’avarizia e la prodigalità; onde si può dire parcità, che è
dare quel che si dee, e tenere quel che si dee: e valore è, secondo
lo predetto Filosofo, volonteroso pigliamento delle cose malagevoli, e
tanto vale quanto magnanimità 3 e presunzione; e però dice lo Filosofo nel predetto libro: Magnanimità è virtù reprimente 4la pusillanimità, e temperante la presunzione. Et è da notare che la cortesia al tutto caccia l’avarizia 5 e tempera la prodigalità; e così la
magnanimità caccia la pusillanimità e contempera la presunzione.
Et aggiugne la cagione perchè ne domanda, dicendo: Chè; cioè
imperò che, Guiglielmo Borsiere; questi fu ancor valoroso cittadino
di Fiorenza, et ebbe tutti li onori che dare si poteano alli valorosi
cittadini, e fu del casato de’ Borsieri; e finge l’autore che fosse 6
macchiato ancora di quello abominevole vizio, il qual si dole Con noi per poco; cioè lo quale è poco che venne a stare nel nostro
girone, a sostenere dolore del peccato commesso insieme con esso
noi: questo dice, perchè poco era ch’era morto, e va là coi compagni;
cioè nostri, i quali aviamo lasciati andare, Assai ne cruccia; cioè
ne turba, e fa crucciar 7 noi di quello ch’io t’ò addomandato, con le sue parole. Il parlare di Guglielmo in questa parte si dee intendere che fosse, che più era cortesia e valore ora in Fiorenza, che non era stato al tempo loro; e però se ne crucciavano, perchè ciascuno è lodatore delle cose sue e del tempo suo; e questo finge l’autore non sanza cagione: imperò che come porrà che in purgatorio
- ↑ C. M. per incitarlo
- ↑ C. M. Palas s’interpreta gloria, è dia
- ↑ C. M. magnanimità, e sta mezzo tra pusillanimità e presunzione;
- ↑ C. M. esprimente
- ↑ C. M. l’avarizia e contempera
- ↑ C. M. fosse infetto ancora
- ↑ C. M. corrucciare noi