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[v. 52-63] | c o m m e n t o | 431 |
natura del loco ec.; e confermasi l’esposizione detta di sopra. Ma perch’io; Dante, mi sarei bruciato e cotto; per lo fuoco, Vinse paura; dell’arsione, la mia buona voglia; ch’io avea d’onorarli e di far loro festa, Che di lor abbracciar mi facea ghiotto; cioè volentiroso. E qui si dè notare la moralità, che qui si può intendere convenientemente; cioè che la ragione non dee consentire ad alcuno usare con le persone maculate 1 di vizi, se già non fosse l’uomo sicuro di non imbruttarsi in sì fatto vizio; et inanzi dee l’uomo lasciar la virtù che è in loro, che mettersi a pericolo di cadere per l’usanza loro.
C. XVI — v. 52-63. In questi quattro ternari l’autor fìnge ch’elli rispondesse a quel ch’avea detto messer Iacopo, e risponde a tre cose; prima alla proposta 2; appresso alla narrazione; et ultimamente alla domanda, dicendo così: Poi; che messer Iacopo ebbe parlato, cominciai; io Dante: Non dispetto; ma doglia La vostra condizion dentro m’affisse; cioè non ebbi voi in dispetto; ma ebbi dolore e compassione della vostra condizione; che sì virtuosi uomini nell’altre cose, cadessono in sì abominevole 3 vizio, Tanto, che tardi tutta si dispoglia; da me la doglia, ch’io n’ò 4 preso nell’animo mio. E questo è notabile che sempre li uomini savi si deono dolere dell’errore de’ viziosi, e più di quelli che sono d’alcuna autorità: imperò che più si perde in loro che nelli altri, et ancora il loro errore passa in esempro alli altri, e sono cagione che caggiano in simile errore, come afferma Boezio 5 nella prima prosa, ove dice: At si quem prophanum (uti vulgo solitus) nobis blanditiae vestrae detraherent, minus moleste ferendum putarem. — Tosto che questo mio Signor; cioè Virgilio, mi disse Parole, per le quali io; cioè Dante, mi pensai Che quai voi siete; cioè voi tre, tal gente venisse; cioè di tal fama et onoranza. Di vostra terra sono; cioè io Dante, e così risponde alla domanda fatta; e sempre mai L’opre di voi e li onorati nomi; cioè vostri, Con affezion ritrassi; cioè scrissi, o ver nominai ad alcun, et ascoltai; quand’erano nominati d’altrui. Lascio lo fele; io Dante; cioè l’amaritudine dell’inferno, e vo per dolci pomi; cioè a vedere la purgazion de’ vizi che si fa nel purgatorio, et i meriti delle virtù che sono in paradiso, Promessi a me per lo verace Duca; cioè per Virgilio, come appare nel primo canto; Ma fino al centro; cioè della terra ove finge che sia lo profondo dell’inferno, pria; cioè innanzi ch’io venga al purgatorio et al paradiso, convien ch’io tomi; cioè ch’io Dante descenda. E questo dice l’autor moralmente; cioè che lascia la viziosità, significata per l’inferno, che è amara più che fiele, e