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430 | i n f e r n o xvi. | [v. 46-51] |
animo pieghi; cioè di te Dante, A dirne; cioè a dire a noi, chi tu se’ che i vivi piedi Così sicuro per lo Inferno freghi; cioè che vivo vai sicuro per l’inferno; e domandato ch’elli à di Dante, manifesta li compagni e sè, dicendo: Questi; cioè costui, l’orme; cioè le pedate, di cui pestar mi vedi; tu Dante, Tutto che; cioè benchè, nudo e dipelato vada, Fu di grado maggior che tu non credi: Nipote fu della buona Gualdrada. Questa fu una nobile donna de’ Conti da Modigliana, avola di messer Guido Guerra, e però volendoli dar fama, gliele dà prima per lei, dicendo: della buona; e perch’io non ò trovato altro di lei, però non lo scrivo; ma questo messer Guido conte e cavalieri fu saputo uomo et ardito e fu col re Carlo, quando venne in Toscana et a Fiorenza, et andossene con lui in Puglia e fu cagione ch’elli sconfisse lo re Manfredi col suo senno e con la sua prodezza; e però aggiugne: Guido Guerra ebbe nome; questo nipote di madonna Gualdrada, et in sua vita Fece col senno assai, e con la spada; sì che fu utile in consiglio et in battaglia. L’altro, che appresso me la rena trita; cioè che mi viene dietro, È Tegghiaio Aldobrandi. Questo messer Tegghiaio ancora fu cavaliere, e fu delli Aldobrandi da Fiorenza, uomo molto saputo e valoroso; e però dice: la cui voce; cioè fama, Nel mondo su dovria esser gradita; cioè esser fatta grande et onorata. Appresso dice di sè: Et io; cioè Iacopo che parlo, che posto son con loro in croce; cioè a questo tormento, Iacopo Rusticucci fui; ecco che si nomina. Costui fu ancora savio e valoroso cavaliere fiorentino; e certo La fiera moglie, più ch’altro, mi nuoce. Questo messer Iacopo ebbe una perversa moglie sì, che non potendola sostenere, la lasciò; e per odio ch’ebbe a lei, s’arrecò in dispetto tutte l’altre femmine e cadde in quello abominevole vizio: e di questi dice 1 con altri due che non li pone qui, fece menzione di sopra l’autore capitolo vi con messer Farinata, quando disse: Farinata e il Tegghiaio, che fur sì degni, Iacopo Rusticucci, Arrigo, e il Mosca, E li altri ch’al ben far puoser l’ingegni.
C. XVI — v. 46-51. In questi due ternari l’autor nostro, parlando a coloro che leggono questo suo poema, finge lo desiderio 2 ch’ebbe di far festa a quelli onorati uomini, ch’avea trovati suoi cittadini, dicendo così: S’io fossi stato dal fuoco coperto; cioè, se io Dante avessi avuto difensione dal fuoco che venia di sopra, e da quel di sotto, Gittato mi sarei; io Dante, tra lor di sotto; da l’argine nella rena, tra quelli onorati e famosi uomini, per amor della lor virtù, non del vizio, E credo; io Dante, che il Dottor l’avria sofferto; cioè Virgilio, ch’io fossi ito a loro; e questo conferma quel che fu detto di sopra in questo capitolo; cioè E se non fosse il fuoco, che saetta La