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[v. 28-45] | c o m m e n t o | 429 |
loro sotto, o cocea loro, elli gridavano hei! — e quando a noi fur giunti; cioè a Virgilio et a me Dante, Fenno una rota di sè tutti e trei; cioè cominciarono a andare in torno, l’uno dietro all’altro, sicchè tutta via andavano, com’era loro imposto per pena, e non si partivano dal luogo; e questo finge l’autore, per affermare quel che finse 1 di sopra, che dicesse ser Brunetto; cioè, che qualunque si resta 2; giace poi cent’anni, sanza rostarsi dal fuoco. Qual solean li campion far nudi et unti; qui fa una comparazione, che così andavano costoro dietro l’uno all’altro, come soleano andare li campioni nudi le braccia, et unti perchè non potessono essere afferrati, vestiti di cuoio strettissimo, l’uno dietro all’altro in giro, dentro al cerchio ove stava lo popolo a spettaculo intorno a una colonna sì, che l’uno parea cacciare l’altro, Avvisando lor presa; cioè come dovesse l’uno afferrare; cioè pigliare alle gavigne l’altro vantaggiosamente; e però dice: e lor vantaggio, Prima che sien tra lor battuti e punti: imperò che si battevano con le palle del piombo, che pendeano da una correggia che portavano in mano, per percuotere et avvinghiare l’uno l’altro: et avvenia che questa correggia avvinghiava sì che il tenea e così preso se l’approssimava e pungealo col coltello et uccidealo, e spesse volte avveniva che chi avea meno ardire, si partiva dalla colonna e fuggiva al popolo e così campava: et ancora quando s’arrendea e chiamavasi vinto, stava in podestà del vincitore di perdonarli la morte; e questo si chiamava lo spettaculo della gladiatura, e questi così fatti combattitori si chiamavano gladiatori. Così rotando; cioè andando in cerchio queste tre anime, ciascun lo visaggio; cioè suo, Drizzava a me; Dante quanto potea, per vedermi, sì che contrario il collo; cioè il volto; e ponsi qui lo collo per lo volto, perchè lo volto in sul collo si volge, Facea, e i piè continuo viaggio: imperò che i piè andavano innanzi, e il volto riguardava a dietro: questo dice per mostrare lo desiderio ch’aveano di vedere Dante, che girando in tondo, portavano lo volto a dietro, verso lui.
C. XVI — v. 28-45. In questi sei ternari l’autor nostro induce a favellare una di queste anime; cioè messer Iacopo Rusticucci, cavaliere fiorentino, nominando li altri e sè, dicendo così: E se; cioè benchè, miseria d’esto loco sollo; cioè di questo luogo arenoso: imperò che quivi è la rena e lo terreno sollo, Rende in dispregio noi e nostri prieghi; cioè 3 che siamo tenuti in dispetto et a vile noi et ancora li prieghi nostri, Cominciò l’uno; cioè messer Iacopo Rusticucci, e il tristo aspetto; perchè siamo arsicciati, e brollo; perchè siamo ignudi, ancora ci rende in dispregio, La fama nostra il tuo