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   [v. 121-124] c o m m e n t o 419

quantunque ne dica male, sempre intese. Nel quale io; cioè ser Brunetto, vivo ancora: li scientifìchi uomini vivono in fama per le opere, ch’ànno lasciato dopo loro; e più non cheggio; io ser Brunetto da te Dante. In tutti li più de’ luoghi finge l’autore li dannati essere vaghi e desiderosi di fama, avendo rispetto moralmente a quelli del mondo li quali tutti desiderano fama, quantunque sieno viziosi. E benchè in alcuno sia già stato appetito di fama, eziandio del vizio, non è dubbio che tutti vorrebbono avere piuttosto fama di virtù, che di vizio; ma non potendola avere della virtù, come bestiali e scedati, dicono che vogliono essere nominati almeno per lo vizio, come fece Erostrato che incese lo tempio di Diana in Efeso, per esserne nominato.

C. XV — v. 121-124. In questo ternario et uno verso l’autor nostro finge lo dipartimento di ser Brunetto, e finisce lo canto dicendo: Poi; che ser Brunetto ebbe detto a Dante le cose dette di sopra, si rivolse; a dietro per raggiugnere la brigata de’ litterati, con la quale dovea essere, e parve di coloro, Che corrono a Verona il drappo verde Per la campagna 1: imperò che a Verona, che è una città di Lombardia, s’usa di correre uno palio di drappo verde da uomini da piè 2, la prima domenica della Quaresima; e parve; ser Brunetto, di costoro; che corrono, Colui che vince, e non colui che perde: sì correa fortemente. E così finisce lo canto xv.

  1. C. M. Per la campagna: dice che ser Brunetto corse sì velocemente per aggiungere la sua brigata, ch’elli parve di quelli che a Verona correno lo drappo verde per la campagna: imperò che
  2. C. M. da omini a piè,

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