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[v. 97-120] | c o m m e n t o | 417 |
à posto a dispensare questi beni mondani; l’altra è da libero arbitrio delli uomini: e però à nominato la Fortuna, dicendo, com’appar di sopra, per la prima cagione; e poi lo villano, per la seconda.
C. XV — v. 97-99. In questo ternario l’autor nostro finge la commendazione che fece Virgilio del detto di sopra della Fortuna, detto da Dante, dicendo: Lo mio Maestro; cioè Virgilio, allora; che Dante ebbe detto le parole dette di sopra, in sulla gota Destra si volse indietro; a Dante et a ser brunetto, e riguardommi; cioè me Dante, Poi disse; Virgilio: Bene ascolta chi la nota; cioè la detta sentenzia da Dante della Fortuna. Sopra questo è da considerare che allegoricamente l’autore finse questo essere, detto da Virgilio, acciò che facesse li lettori, che leggeranno questa cantica, attenti sopra la sentenzia detta da lui della Fortuna; ma quanto alla lettera, Virgilio; cioè la ragione, parla a Dante; cioè alla sensualità, e fallo attento che noti la sentenzia detta da sè, sì che quando viene in pratica non la dimentichi; ma faccia come à detto. Spesse volte dice l’uomo sensualmente una vera sentenzia, e poi che viene a’ fatti e alla pratica, non osserva la sua sentenzia; e però finge l’autor che Virgilio ne l’ammonisca, et ancora a verità la sentenzia detta di sopra non è intelligibile ad ognuno.
C. XV — v. 100-120. In questi sette ternari l’autor nostro finge com’elli domanda ser Brunetto chi sono li compagni, e come ser Brunetto li risponde, dicendo: Nè per tanto di men; cioè, benchè Virgilio così dicesse, come appare di sopra, io non li rispondo; ma niente di meno, parlando vommi; io Dante, Con ser Brunetto, e domando chi sono Li suoi compagni più noti; cioè più famosi, e più sommi; cioè di maggior grado. Et elli; cioè ser Brunetto disse, a me; Dante: Saper d’alcuno è bono; dice esser buono saper d’alquanti; cioè di quelli che s’avea proposto di nominare, et artificiosamente finge che li nomini ser Brunetto, e non elli, perchè infetti di sì fatto vituperoso peccato, non sono noti se non a’ lor simili; e dice che è buono, perchè Dante adduca in esemplo in questo luogo l’infami di sì fatto peccato, come à indotto nelli altri luoghi l’infami di quella spezie di peccato, della quale elli qui trattò, sì che si guardino li lettori da sì fatto peccato e per paura della pena et ancor della infamia. Delli altri; che vi sono, fia laudabile tacerci; dice ser Brunetto, et assegna la ragione: Chè il tempo saria corto a tanto sono 1; e per questo mostra che il numero fosse grande. In somma, sappi, che tutti; cioè li miei compagni, fur cherci; cioè stati nell’ordine del chericato, E litterati grandi; queste due spezie pone insieme, perchè li cherici anticamente tutti soleano essere litterati, e più dice di
- ↑ C. M. a tanto sono; cioè a tanto parlare; e per questo
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