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i n f e r n o xv. |
[v. 55-124] |
Fiesole et ancora tiene del monte e del macigno, ti si farà nimico per tuo ben fare; e questo è ragione che non si conviene al fico che è dolce, fruttificare tra i sorbi che sono afri 1. E continuando le condizioni 2 dice: Vecchia fama nel mondo li chiama orbi, invidiosi, avari e superbi nel mondo, e però fa che ti forbi da’ loro costumi: et aggiugne poi che l’à ammonito delle condizioni loro da esse schifate, e confortalo di lui medesimo, dicendo: La tua fortuna tanto onore ti serba, che l’una parte e l’altra di Fiorenza avranno desiderio di te; ma non se ne sazieranno; e seguitando la sua figura dice: Facciano le bestie Fiesolane strame di lor semente, e non guastin la pianta, se d’egli ne surge alcuna buona ancor nel loro letame, nel quale rovina e perdesi la sementa santa di quelli Romani, che vi rimasono quando fu fatta Fiorenza, nidio di tanta malizia. Finito lo ragionamento di ser Brunetto, rispose Dante: Se fusse tutto adempiuto la mia domanda, voi non sareste ancor morto: chè m’è fitto nella mente, et ora mi rinvigorisce la serena e chiara vostra imagine e paterna, che mi mostravate nel mondo quando m’insegnavate come l’uomo si fa eterno; e quant’io l’abbia a grado conviene che si veggia nella mia lingua: cioe 3 che mi narravate 4 del corso della mia vita scrivo, e serbo a chiosare con altro testo a donna, che saprà se io arriverò a lei. Ma di me tanto vi voglio dire, che io sono apparecchiato alla fortuna com’ella vuole, purchè non mi garra la mia coscienzia: non è nuova alli orecchi miei tal arra, e però giri la fortuna la rota sua, come le piace, e il villano la sua marra. Allora Virgilio si rivolse in sulla gota ritta a dietro, e riguardando Dante, disse: Bene ascolta chi la nota; et aggiugne Dante che niente meno s’andava favellando con ser Brunetto, e domandò chi erano li suoi compagni più cari 5 e più sommi. E ser Brunetto rispose, che buono era a sapere d’alcuni, delli altri era laudevole di tacere: chè il tempo sarebbe corto a dirli di tutti; e diceli in somma: Sappi che tutti furono cherici e grandi letterati e di grandissima fama, brutti al mondo d’uno medesimo peccato; e nomina prima Prisciano grammatico e Francesco d’Accorso: e se avessi avuto voglia di sapere d’un altro, che fu vescovo fiorentino e mutato dal papa a Vicenzia, anche ve lo potevi vedere. Di più ti direi; ma il venire e lo sermone non può essere più lungo, per ch’io veggio oltre nuovo fummo del sabbione; della rena, che è uno segno che gente viene che non è di mia condizione sì, ch’io non debbo essere con loro; et aggiugne: Siati rac-
- ↑ C. M. sono lazzi.
- ↑ C. M. delle condizioni de’ Fiorentini, dice: Vecchia fama li chiama orbi; cioè ciechi nel mondo, e gente avara, invidiosa e superba, e però
- ↑ Cioe; ciò, aggiuntovi al solito una vocale per dolcezza di favella. E.
- ↑ C. M. narrate
- ↑ C. M. più noti e più sommi.