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c a n t o   xv. 399

73Faccian le bestie Fiesolane strame
      Di lor semente, e non guastin la pianta,1
      S’alcuna surge ancor in lor letame,2
76In cui ruina la semente santa
      Di quei Roman, che vi rimaser, quando
      Fu fatto il nidio di malizia tanta.
79Se fosse tutto pieno il mio dimando,3
      Rispuosi lui, voi non sareste ancora
      Dell’umana natura posto in bando:
82Chè in la mente m’è fìtta, et or m’accora
      La chiara e buona imagine e paterna4
      Di voi, quando nel mondo ad ora ad ora
85M’insegnavate come l’uom sè eterna:
      E quanto l’abbia a grato, mentre vivo,5
      Convien che nella mia lingua si scerna.
88Ciò, che narrate di mio corso, scrivo,
      E serbolo a chiosar con altro testo
      A donna, che saprà, se a lei arrivo.
91Tanto vogl’io che vi sia manifesto,
      Pur che mia coscienza non mi garra,
      Che alla Fortuna, come vuol, son presto.
94Non è nuova alli orecchi miei tale arra;
      Però giri Fortuna la sua rota,
      Come le piace, e il villan la sua marra.
97Lo mio Maestro allora in sulla gota
      Destra si volse indietro, e riguardommi;
      Poi disse: Bene ascolta chi la nota;

  1. v. 74. Di lor medesme, e non tocchin la pianta,
  2. v. 75. C. M. nel lor letame,
  3. v. 79. Se fosse pieno tutto il mio dimando,
  4. v. 83. C. M. La cara e buona imagine paterna
  5. v. 86. C. M. a grado mentr’io vivo,