Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
380 | i n f e r n o xiv. | [v. 43-48] |
dio, e però l’autor nostro ne fa comparazione; cioè del cadere; ma non dello spegnere a quel fuoco, che finge che cadesse sopra il terzo girone, come è detto di sopra. Seguita: Sanza riposo mai era la tresca Delle misere mani; cioè di quelle anime che quivi erano tormentate le quali mai non aveano riposo, scotendosi l’arsura che cadea di sopra, et ammortando quella che s’accendea di sotto. Tresca si chiama uno ballo saltereccio, ove sia grande e veloce movimento e di molti inviluppato; et a denotare lo veloce movimento delle mani della moltitudine di quelle misere anime a scuotersi l’arsura si chiama tresca: e per questo si può dire che l’autore fingesse che fosse punita la prestezza, che ebbono nella vita a commettere li detti peccati, per la prestezza delle mani che significano l’operazione, or quindi, or quinci; cioè or dall’un lato, or dall’altro, Escotendo da sè l’arsura fresca; cioè che di nuovo era venuta.
C. XIV — v. 43-48. In questi due ternari finge l’autore ch’elli vedesse uno de’ violenti contro a Dio stare nell’arsura molto dispettoso, onde domandò 1 di lui Virgilio, dicendo: Io cominciai; cioè io Dante: Maestro, tu che vinci Tutte le cose. Qui è da notare l’allegoria che la ragione significata per Virgilio vince tutte le cose con la virtù, salvo che la durezza del demonio, lo quale non si può vincere a farlo operare alcun bene, se non a fine di male; e per tanto sono da riprendere li sacrilegi e l’incantatori, li quali credono con loro incantagioni fare adoperare al demonio cosa che buona sia: imperò che è ostinato in male, e per venire ad un grande male alcuna volta adopera alcuno apparente bene 2; e però dice: fuor che i demon duri; la durezza dei quali non si può vincere, Ch’all’entrar della porta; cioè di Dite, incontra uscinci; come appare di sopra cap. ix, che Virgilio non li potè vincere che li aprissono la porta, se non che venne l’angelo. Chi è quel grande; ora domanda Dante d’una anima che vedeva giacere nell’arsura e non parea che se ne curasse, lo quale finge che fosse lo re Capaneo, del quale si dirà di sotto, che non par che curi Lo incendio: imperò che non si curava dell’incendio ch’avea di sotto, nè di quel ch’avea 3 di sopra, e giace dispettoso e torto; come fa lo superbo, Sì, che la pioggia; del fuoco, non par che il maturi? Imperò che non s’ammortava la sua superbia; et in questo si mostra l’ostinazione de’ dannati. E tratta qui l’autore de’ violenti contro a Dio, li quali sono superbi et irosi; e pertanto tratta qui l’autore di due spezie; l’una di superbia; l’altra d’ira, in quanto vengono da malizia, o da bestialità, e però pone le condizioni del superbo, che presumme della sua grandezza e dispregia Idio e la sua