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366 | i n f e r n o xiii. | [v. 139-151] |
fosti; tu, che per tante punte; quante erano quelle rotte e strappate dalle cagne, Soffi con sangue doloroso sermo? Imperò che col sangue finge l’autor ch’uscisse lo parlare lamentevole.
C. XII — v. 139-151. In questi quattro ternari et uno verso finge l’autor nostro come l’addomandato rispose chi elli era, manifestandosi per la città e per la morte, dicendo così: E quelli; cioè l’addomandato da Virgilio, a noi; cioè a Virgilio et a me Dante, rispose, s’intende: O anime, che giunte; credea costui, secondo che finge l’autore, che fossono anime dannate a simili pene, ch’elle stessono a vedere, Siete a veder lo strazio disonesto, Che à le mie fronde sì da me disgiunte. Queste frondi sono allegoricamente li onori ricchezze e beni desiderati nel mondo, per li quali non potuti ottenere si sono per disdegno disperati; e però finge l’autore che sieno frondi nere, perchè sono convertiti in infamia: e che l’Arpie le pascano significa, che la rapina della vita propia li priva d’ogni onore, ricchezza e bene desiderato, et eziandio avuto. Raccoglietele a piè del tristo cesto. Qui si dimostra per l’autore l’appetito che ànno avuto smisurato alli beni del mondo, ch’ancora dura di là siccome ne sono state vaghe in questa vita, intanto che per non poterli avere, o avuti non poterli tenere, si sono disperati; e per questo mostra l’autore la ostinazione de’ dannati, che in quella mala volontà che sono morti stanno nell’inferno, e niente di meno ànno coscienzia e dolore d’avere così voluto; ma quel pentere 1 non val nulla, come detto fu di sopra. Io fui della città, che nel Battista Mutò il primo padrone. Qui finge Dante che costui si manifesti per due vie; l’una per la città ond’era nato; l’altra per la morte: dice prima che fu fiorentino, in quanto dice che fu della città che mutò il primo padrone; cioè Marte dio della battaglia, nel Battista; cioè in san Giovanni Battista, ond’ei; cioè Marte, per questo; cioè mutamento, Sempre con l’arte sua la farà trista; cioè con le battaglie: imperò che sempre battaglieranno 2 e perderanno e saranno sconfitti: E se non fosse, che in sul passo d’Arno; cioè in sul ponte vecchio di Firenze, Rimane ancor di lui; cioè di Marte, alcuna vista; cioè imagine, Quei cittadin, che poi la rifondarno; cioè Fiorenza, poi che fu rovinata et arsa, Sopra il cener che d’Attila rimase; cioè in quel luogo, ove prima Attila la disfece et arse, Avrebber fatto lavorare indarno; cioè che non sarebbe lor giovato 3 a rifarla un’altra volta. Qui è da vedere quel che l’autor qui intese e di questo Attila; e quanto al primo, secondo la lettera, finge che questo Fiorentino addomandato chi elli era si mani-