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356 | i n f e r n o xiii. | [v. 55-78] |
la buona, ch’ella si taccia, come appare quando l’autor dice nel canto xxxii del contrario ò io brama. E qui è da notare che l’autor finge che chi non à avuto cura di conservare lo corpo suo umano in vita vegetativa, senta pena della rottura di sì vile corpo, come è uno pruno, poi che a lui è stato vile lo corpo suo umano sì, come d’uno pruno.
C. XIII — v. 55-78. In questi otto ternari l’autore nostro finge come lo troncato manifesta chi elli fu, e come venne e perchè a desperazione, e scusa la sua infamia dicendo così: E il tronco; cioè quello, del quale io avea troncato la fraschetta, rispose alle parole di Virgilio: Sì col dolce dir mi adeschi; cioè m’induci al tuo volere, come l’uccello per l’esca s’induce a fare quel che l’uomo vuol, Ch’io non posso tacere; a voi, e voi non gravi; cioè te Virgilio e Dante, Perch’io un poco a ragionar; cioè con voi, m’inveschi; cioè m’intrighi 1 nel parlar, come fanno comunemente li uomini, quando dell’una novella entrano nell’altra. Io son colui; io di questo troncone sono l’anima di colui, che tenni ambo le chiavi; qui induce lo autore quell’anima a manifestarsi per lo uficio che ebbe, quando fu nel mondo dicendo; ch’è l’anima di colui che tenne amendu’ 2 le chiavi, Del cor di Federigo; secondo imperadore, et intende per amendu’ le chiavi la concessione delle grazie e la negazione, e sì le volsi; queste chiavi, serrando; a chi negava, e disserrando; a chi concedeva, e soggiugne: sì soavi; cioè dolcemente, e questo è secondo alcuni esponitori; ma secondo lo mio vedere, tenere le chiavi del cuore non è se non aver noto quello che altri à nel cuore: e perchè nelli cuori de’ signori sono cose comuni e publiche e cose private e segrete, e queste ultime non si manifestano a’cancellieri, se non le comuni e le publiche, però dice che tenne amendue 3 le chiavi, perchè li furon note tutte le cose del cuore dello imperadore: e come la chiave è fedele guardia che mai non concede se non a chi ell’è conceduta, però aggiugne ch’elli le volse serrando et aprendo; cioè occultando quel ch’era segreto e manifestando quel ch’era da manifestare con debiti modi: e però dice sì soavi, che quasi non avea lo imperadore niuno secretario altri che lui; e però seguita: Che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi; cioè tanto li venni in grazia e tanta fede mi dava, che quasi niuno era al suo consiglio segreto se non io, et elli a niuno affidava suo segreto, se non a me; dice quasi, perchè pur ve n’erano; ma pochi: Fede portai al glorioso offizio. Ora si scusa contro quello che li fu apposto; cioè che dovesse revelare 4 li segreti dello imperadore a’ suoi nimici; cioè a