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xxx b i o g r a f i a

si diportano que’ governi, che per ogni maniera una verace istruzione proteggono e promuovono, di perenne e reale felicità precipua ed unica sorgente. Nè codesta verità soltanto nei secoli più vicini a noi si è conosciuta; che anzi fu dessa, che ebbe diradate le tenebre dell’età barbare, penetrando nell’animo dei reggitori di municipio, i quali si diedero con ogni premura ad aprire Università e Studi, e porvi catedre, per fare al popolo abilità di addottrinarvisi. E niuno si avvisi che quelle Università e quegli Studi si potessero tenere al presente per norme sufficienti e per imitabili esempi: chè propio è di tutte le umane istituzioni l’approssimarsi via via al perfezionamento, aiutate dalle esperienza, alla quale richiedesi un certo volgere di stagioni. Seco però aveano questo d’eccellente; che una delle principali basi dell’insegnamento era la patria letteratura, la quale i nostri antichi saviamente giudicavano influirebbe al diritto pensare. E in fatti la parola, che è un sensibile, non è ella il vero mediatore tra il pensiero subiettivo e il pensiero obiettivo? Non era per anco trascorso un mezzo secolo che il Poema di Dante Allighieri andava divulgato per tutta Italia, e i dotti mostravano quanto frutto ne sarebbe venuto, se ad ognuno resa ne fosse piana ed agevole la lettura; ed ecco Firenze affidarne la esposizione a Giovanni Boccaccio, Pisa a Francesco da Buti1, e Bologna a Benvenuto Rambaldi. Oh anime bennate, che a sì nobile divisamento veniste, abbiatevi da’ posteri gratitudine e benedizioni: conciossiachè in tal modo a que’ valenti maestri abbiate fornito l’occasione di tramandarci de’ commenti, che si reputeranno sempre come eletti fiori nel giardino delle nostre lettere! Che se di codesti tre letterati contemporanei Giovanni Boccaccio per molti pregi avanza gli altri, noi però in questo soggetto antimettiamo a tutti Francesco da Buti e sì perchè ebbe commentato per intero la Divina Comedia, là dove il Boccaccio non oltrepassò il c. xvii dell’Inferno, e sì perchè la ebbe esposta in italiano, mentre il Rambaldi chiosò in lingua latina. Tali sono i meriti che troveranno sempre grazia al Commento del nostro Butese, di cui anderemo qui brevemente discorrendo la vita politica e letteraria.


  1. Anche Frate Guido da Pisa (dal Da Buti nominato frate Guido del Carmine pag. 189) compilò un Commento alla Divina Comedia; ma soli i primi 27 canti dell’Inferno ne illustrò in latino. Un codice di questo Commento si trova nella Biblioteca Archinto in Milano.