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286 | i n f e r n o x. | [v. 73-84] |
Ma quell'altro ec. Questa è la seconda lezione del canto, nella quale si contiene ancora certo ragionamento con messer Farinata e lo passamento al settimo cerchio, la qual si divide in sei parti: imperò che prima pone come messer Farinata risponde ad alcun detto di Dante et annunciali danno, e domanda la cagione perchè lo popolo di Firenze era sì empio contra li suoi; nella seconda pone Dante la risposta sua, quivi: Ond’io a lui ec.; nella terza pone, come domanda messer Farinata d’alcuno dubbio, e com’elli lo solve, quivi: Deh! se riposi cc.; nella quarta pone come impose a messer Farinata che rispondesse a messer Cavalcante, e come Virgilio lo richiamò, e come messer Farinata li manifestò delli altri ch’erano con lui, quivi: Allor, come ec.; nella quinta pone come ritornato a Virgilio, Virgilio lo conforta, quivi: Indi s’ascose ec.; nella sesta pone lo suo processo inverso lo settimo cerchio, quivi: Appresso volse ec. Divisa adunque la lezione, ora è da vedere la sentenzia litterale, la quale è questa.
Così cadde messer Cavalcante, come detto fu di sopra; ma quell'altro; cioè messer Farinata, non si mutò punto per quella caduta di messer Cavalcante, nè per le parole di Dante; e ritornando al parlare di prima disse: Li miei ànno male appreso l’arte del ritornare 1; di questo mi duole più che di questa mia pena; ma non passeranno cinquanta lunari, che, tu Dante, saprai quanto pesa quell’arte; e se mai torni nel mondo, dimmi perchè il popolo fiorentino è così empio contra’ miei in ciascuna sua legge ch’elli fa. Allora rispose Dante: Lo strazio e il grande scempio, che fece diventare l’Arbia sanguinosa, è cagione di questo. A questo messer Farinata sospirando e menando lo capo rispose, che a quel che detto fu per Dante elli non era stato solo, che altri era stato con lui cagione di questo, nè non fu sanza cagione lo movimento suo, e delli altri; ma dice: Io fui ben solo nel consiglio ove si determinava di toglier via Fiorenza, colui che la difesi a faccia aperta. E dopo questo disse Dante a lui pregandolo: Deh! se riposi mai vostra semenza, solvetemi un dubbio il quale io ò; che mi pare che voi passati del mondo vedete le cose future, e le presenti che sono nel mondo non comprendete. Et a questo risponde, che li passati veggono come colui ch’à mala luce, che vede le cose da lungi; ma non da presso: e così ellino veggono il futuro; ma non il presente. Et aggiugne una conclusione che seguita da questa; che quando fia finito questo mondo, non vedranno più alcuna cosa: imperò che non fia più futuro; ma fia presente. Allora dice Dante, come pentendosi di non aver risposto a messer Cavalcante, disse a messer Farinata che li dicesse, che il
- ↑ C. M. del cacciare; me ne duole