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ma la riprensione che l’angelo fece alli demoni, e poi la sua dipartenza, quivi: Poi si rivolse ec. Continua così l’autore: Poi che la porta fu aperta, come è detto di sopra, l’angelo riprendendo li demoni, disse: O cacciati del Ciel, gente dispetta; rimpruovera loro qui la loro ruina, dicendo: O cacciati del Ciel; per vostra superbia, gente dispetta; cioè dispregiata da Dio e dal mondo, Cominciò elli; cioè l’angelo, in su l’orribil soglia; cioè della porta dell’inferno; e per questo mostra che non v’entrasse dentro, per accostarsi alla sentenzia di Virgilio, ove dice nel sesto: Nulli fas casto sceleratum insistere limen, perchè quello è luogo degno pur di demoni, e non di spiriti buoni. Ond’esta; cioè onde questa, oltracutanza; cioè superbia, o vero stoltizia, in voi s’alletta; cioè viene in voi? Perchè ricalcitrate; cioè contrariate? e dice ricalcitrate, che è a dire, date di calcio. Colui si dice dare di calcio, che si ribella dalla volontà del suo signore, a quella voglia; cioè di Dio, A cui; cioè alla qual volontà, non puote il fin mai esser mozzo; cioè non può essere mutato, che la volontà di Dio non abbi suo fine, E che; cioè la qual voglia divina, più volte v’à cresciuto doglia? Quando lo demonio non può fare contra la volontà di Dio e non può impedire lo bene n’à dolore; et ancor s’accresce al demonio pena e tormento, quando elli ricalcitra alla volontà di Dio. Che giova; cioè che prò è, nelle fata dar di cozzo; cioè nelle cose che procedono secondo la providenzia divina ordinatamente, di tempo in tempo? Dar di cozzo nelle fata è contrastare e volere impedire le fata. E qui parla l’angelo più specialmente che di sopra, quasi dica: Niente giova a contrastare all’ordine delle cose provedute da Dio, et alloro avvenimento come chi calcitrasse nel puoglo1, o stecco, che sel ficcherebbe nel piede, e chi desse del capo nel muro, che se lo romperebbe. Cerbero vostro; cioè demonio, vostro compagno, che i poeti fingono esser cane dell’inferno, posto a guardia nell’entrata, passato Acheronte: dà esempro l’angelo di quel ch’à detto; la tratta che fece Ercole di Cerbero dello inferno (del qual fu detto di sopra in questo canto, quando disse: Mal non vengiammo in Teseo l’assalto) dicendo: se ben vi ricorda, Ne porta ancor pelato il mento e il gozzo: imperò che quando Ercole lo tirò con le catene che avea gittate alle sue tre gole, li fece cadere li peli dal mento e dal gozzo, sì che mai non rimisono. E qui si può movere una obiezione all’autore, dicendo, che questa non fu buona poesia; che l’angelo dia esemplo delle fizioni2 delli poeti che non sono vere: imperò che lo parlare non si conviene
- ↑ C. M. nel pungulo, che si ficcherebbe — della parola puoglo o puoglio ci confessiamo insufficienti ad intendere il significato: forse è voce corrotta e perduta E.
- ↑ C. M. delle faule de’ poeti