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[v. 64-72] | c o m m e n t o | 261 |
segno che stesse cheto et inchinasselisi, e dice che molto li parea sdegnoso, e giunse alla porta, e con una vergetta 1 l’aperse che non vi fu resistenzia. E disse l’angelo ai dimoni: O cacciati del cielo, gente dispetta, stando in su l’orribil soglia della porta, onde viene in voi questa tracotanza? Perchè ricalcitrate alla volontà divina, alla quale non si può togliere lo suo fine, onde spesso n’avete sentito doglia? Che giova andare contra le fata; cioè contra li evenimenti prodotti secondo la providenzia di Dio? Cerbero vostro, se ben vi ricorda, ne porta ancor pelato il mento e il gozzo: ecco come nuoce a ricalcitrare a Dio. Poi dice che si tornò a dietro e non fece lor motto, anzi mostrà 2 d’avere altra cura che di colui che gli è innanzi; et essi se n’andarono verso la terra, sicuri per le parole sante ch’aveano udito dire dall’angelo, et entrarono dentro sanza ostaculo. E Dante ch’avea desiderio di vedere quel ch’era dentro a quella fortezza, come fu detto, riguardò d’intorno e vide da ogni mano gran compagnia piena di duolo e di rio tormento; e fa una similitudine, che sì come ad Arli, dove il Rodano entra in mare, che è una città di Proenza 3; e si come a Pola che è una città in Capo d’Istria dal lato della Schiavonia, ove è uno mare che si chiama Carnaro che è lo confine d’Italia, verso l’oriente, vi sono molti sepolcri onde lo luogo viene curvo; così vide quivi, se non che tra li avelli v’erano fiamme sparte per le quali li avelli erano roventi, come ferro quando è nel fuoco; e dice ch’erano aperti et uscivano fuori sì duri lamenti che pareano d’anime misere e d’offese. Onde domanda Dante chi sono coloro che vi sono dentro che si fanno sentire con così aspri lamenti; e Virgilio risponde, perchè quivi li principi delli eretici con li loro seguaci sono sepulti, che ve n’è d’ogni setta grande moltitudine, e che li monimenti sono più e meno caldi, secondo l’errore in che peccarono; e conchiude che si volsono verso man ritta e passarono tra le mura alte et i martìri. Veduta la sentenzia litterale, ora è da vedere il testo con le moralitadi, o vero allegorie.
C. IX — v. 64-72 In questi tre ternari l’autor nostro pone l’avvenimento dell’angelo, dicendo così: E già; cioè quando io era così chiuso, venia su per le torbide onde; della palude Stige, Un fracasso d’un suon pien di spavento; questo dice l’autor per accordarsi con li Teologi, che dicono che quando l’angelo viene, prima dà spavento e poi sicurtà; e lo demonio fa il contrario; e lo suon grande ancora, perchè dice la Santa Scrittura: Et factus est repente de