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258 | i n f e r n o ix. | [v. 55-63] |
figliuole di Giove, onde Teseo tolse Elena, la quale li convenne poi rendere: però che Castore e Polluce fratelli d'Elena la racquistarono, tolta in quello scambio la madre di Teseo. Peritoo non ne potè trovare nel mondo veruna; e però presa la compagnia di Teseo andò nell'inferno a togliere Proserpina; ma non la poterono avere onde Teseo e Peritoo se ne vennono, secondo alcuna fizione; secondo alcun altra, vi fu Teseo rattenuto. Ma poi Peritoo vi menò Ercole che ne ’l cavò, et ancora ne menò Cerbero strascinandolo 1 con le catene del diamante che li gittò in collo, quando fuggì alla sedia di Plutone per paura, e tirollo quindi in fine nel mondo. E per la luce che Cerbero non potea sostenere, gittò schiuma della quale nacque erba velenosa, la quale si chiama aconita; onde rimase a Cerbero pelato lo mento e il gozzo, per lo stirare della catena; e tornato che fu Cerbero nello inferno morse malagevolmente 2 Carone, perchè li avea passati in su la nave, e però dice che, Mal; cioè male a loro uopo, non si vendicarono della vendetta di Teseo: chè se si fossono vendicate, Dante non avrebbe ora ardimento di scendervi.
C. IX — v. 55-60. In questi due ternari l’autor mostra lo riparo che Virgilio prese contra il nocimento delle furie, che detto è di sopra, dicendo: Volgiti in dietro; tu Dante, e tien lo viso chiuso; cioè tieni il viso celato: Chè se il Gorgon; cioè Medusa, che è detta Gorgon, secondo che fu detto di sopra; si mostra; sì che tu il vegga, e tu il vedessi; cioè tu Dante vedessi questa Medusa, Nulla sarebbe di tornar mai suso; cioè nulla potenzia sarebbe di tornar su nel mondo: però che diventeresti pietra. Così disse il Maestro; cioè Virgilio, come fu detto di sopra; et elli stessi; cioè Virgilio, Mi volse; me Dante a dietro, acciò ch’io non vedessi Medusa s’ella apparisse, e non si tenne alle mie mani; cioè non istette contento ch’io mi chiudessi pur con le mie mani, Che con le sue; cioè mani, ancor non mi chiudessi; cioè lo volto mio, per ch’io non potessi veder Medusa.
C. IX — v. 61-63. In questo ternario lo nostro autor pone una esortazione ch’elli fa alli uditori e lettori, che sieno attenti a considerare questa fizione, e vedere quello che à inteso per questo che detto è di sopra, dicendo: O voi, che avete l'intelletti sani; cioè, simplici, che è quello che suonano le parole, e non altro: chè se una cosa intendessono secondo la lettera, et altro, secondo l’allegoria, allora lo intelletto non sarebbe sano; ma diviso. Et a questi cotali è bisogno che faccia la esportazione dell’attenzione 3, che alli