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[v. 31-42] | c o m m e n t o | 253 |
Virgilio ora vel meni, benchè l’Eneida dica che Sibilla non vi menasse Enea. Quell’è il più basso loco e il più oscuro, E il più lontan dal Ciel che tutto gira. Parla della Giudecca dicendo, che è il più basso luogo dell’inferno, e più oscuro e più di lungi dal cielo, che gira intorno la terra: però che è al centro della terra, e lo centro è più distante luogo che sia dalla circunferenzia del cerchio; e questo finge per mostrare che ben li sia possibile di menarlo d’ogni lato, e però soggiugne: Ben so il cammin; io Virgilio; però ti fa sicuro; tu Dante, e non aver più paura.
C. IX — v. 31-42. In questi quattro ternari l’autor nostro pone lo compimento del parlar di Virgilio, et appresso soggiugne quello che vide in sulla torre della città. Prima dice che Virgilio, poichè l’ebbe confortato mostrandoli che ben sapea lo cammino, li rende la cagione perchè s’era adirato, dicendo: Questa palude; cioè Stige, che aveano passato, che il gran puzzo spira; cioè gitta, come detto fu di sopra, Cinge d’intorno la città dolente; cioè Dite con le fosse che disse di sopra, U'1 non potemo; cioè nella qual città non possiamo, entrare omai sanz’ira; e per tanto non ti maravigliare se io m’adirai con li demoni, ch’ella è intorniata questa città da palude, ove si punisce l’ira. E benchè questo abbi finto secondo la lettera, niente di meno àe avuto intelletto allegorico: imperò che la ragione entrando a considerare li gravi peccati, non può fare che non s’adiri, almeno d’ira, per zelo della giustizia di Dio contra sì fatti peccati. Et altro disse; Virgilio; ma non l’ò a mente; io Dante: Perocchè l’occhio; cioè mio, m’avea tutto tratto Ver l’alta torre alla cima rovente; cioè alla cima della torre ch’era sulla porta della città, et era rovente come detto fu di sopra. E questo finge l’autore per dare ad intendere che l’animo dell’uomo svaria per le cose apposte, e rappresentateli di fuori: imperò che manifesto è che Dante è colui che parla, ben ch’elli fingendo induca a parlar Virgilio, sì che ben sapea se altro disse. Dove; cioè in su la qual cima della torre, in un punto furon dritte ratto; cioè tostamente, Tre furie infernal di sangue tinte; cioè le quali erano sanguinose, Che membra feminili aveano et atto; cioè aveano le membra e li atti a modo di femmine, sicchè pareano femine. E con idre verdissime eran cinte; cioè avean serpenti verdissimi per cintura: Serpentelli; piccolini serpi, e ceraste avean per crine; cioè in luogo di capelli avean piccoli serpenti, e ceraste. Ceraste è una generazione di serpenti, ch’ànno le corna, sicchè aveano per capelli quelli serpenti ch’aveano corna, et altri piccolini. Onde le fiere tempie eran avvinte; cioè che aveano avvolti questi serpenti
- ↑ U’; ove, al presente conceduto alla sola poesia, è un troncamento dell’ubi latino. E.