100Poi si rivolse per la strada lorda,
101E non fe motto a noi; ma fe sembiante
102D’uomo, cui altra cura stringa e morda,
103Che quella di colui che li è davante.
104E noi movemmo i piedi in ver la terra,
105Sicuri appresso le parole sante.
106Dentro v’entramo sanza alcuna guerra;
107Et io ch’avea di riguardar disio
108La condizion, che tal fortezza serra,
109Com'io fui dentro, l’occhio intorno invio,
110E veggio ad ogni man grande campagna1
111Piena di duolo e di tormento rio.
112Sì come ad Arli, ove il Rodano stagna,
113Sì come a Pola appresso del Carnaro,
114Che Italia chiude e i suoi termini bagna,
115Fanno i sepolcri tutti il lito varo;2
116Così facevan quivi d’ogni parte,
117Salvo che il modo v'era più amaro.
118Chè tra li avelli fiamme erano sparte,
119Per le quali eran sì del tutto accesi,
120Che ferro più non chiede verun'arte.
121Tutti li lor coperchi eran sospesi,
122E fuor ne uscian sì duri lamenti,
123Che ben parean di miseri e d’offesi.
124Et io: Maestro, quai son quelle genti,
125Che sepellite dentro da quest’arche
126Si fan sentir con li sospir dolenti?
127Et elli a me: Qui son li eresiarche3
128Coi lor seguaci d’ogni setta, e molto
129Più, che non credi, son le tombe carche.
- ↑ v. 110. C. M. E viddi
- ↑ 115. C. M. tutto il luogo varo;
- ↑ v. 127. Gli antichi terminavano in e il plurale de’ maschili aventi il singolare in a. Lo stesso Dante disse omicide. Inf. c. xi v. 37. E.