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c a n t o    ix. 243

19Questa question fec’io; e quei: Di rado
     Incontra, mi rispuose, che di nui
     Faccia il cammin alcun, per qual io vado.
22Ver è, ch’altra fiata qui giù fui1
     Congiurato da quell’Eriton cruda,
     Che richiamava l’ombre ai corpi sui.
25Di poco era di me la carne nuda,
     Ch’ella mi fece entrar dentro a quel muro,
     Per trarne un spirto del cerchio di Giuda.
28Quell’è il più basso loco e il più oscuro,
     E il più lontan dal Ciel che tutto gira:
     Ben so il cammin; però ti fa sicuro.
31Questa palude, che il gran puzzo spira,
     Cinge d’intorno la città dolente,
     U’ non potemo entrare omai sanz’ira.2
34Et altro disse; ma non l’ò a mente:
     Perocchè l’occhio m’avea tutto tratto
     Ver l’alta torre alla cima rovente,
37Dove in un punto furon dritte ratto
     Tre furie infernal di sangue tinte,
     Che membra feminili aveano et atto,
40E con idre verdissime eran cinte:
     Serpentelli e ceraste avean per crine,
     Onde le fiere tempie eran avvinte.
43E quei, che ben conobbe le meschine3
     Della reina dello eterno pianto,
     Guarda, mi disse, le feroci Erine.4

  1. v. 22. C. M. qua
  2. v. 33. Potemo, cadenza regolare, oggi permessa al solo poeta. E.
  3. v. 43. Meschina vale ancella, serva. E.
  4. v. 45. Erine è plurale di Erina che truovasi in altri Scrittori del trecento per uniformità di cadenza, come Atena, Ensiona e parecchi altri. E.