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[v. 67-75] | c o m m e n t o | 235 |
chè io non ti lascerò qui; e così se ne andò et abbandonò Dante, onde Dante rimase in forse del tornare di Virgilio. E dice l’autore che non potè udire quel che dissono; ma non stette molto ch’ellino corsono dentro, e chiusonli la porta nella faccia. E Virgilio allora ritornò a Dante, molto cruccioso et addolorato, dicendo: Chi m'à negato le dolenti case; e disse a Dante: Perch’io mi crucci, non temere tu, ch’io vincerò la pugna, difendansi quantunque possono. Questa loro arroganzia e presunzione non è nuova: chè elli l’usarono ancora dalla prima porta dell’inferno onde tu entrasti, la quale fu aperta per forza et ancora si truova aperta: e sopra quella porta vedesti la scritta di colore oscuro che dice: Per me si va nella città dolente ec. Et ancora ti so dire che già discende l’erta di qua dalla porta, per li cerchi passando uno che ci farà aprire la porta contra loro grado. E qui finisce la sentenzia litterale. Ora è da vedere il testo con l’allegorie, ovvero moralitadi.
C. VIII — v. 67-75. In questi tre ternari lo nostro autore finge che Virgilio li manifestasse la città, la quale di lungi navicando vedeano, et alla quale andavano, dicendo: Lo buon Maestro; cioè Virgilio, disse; cioè a me Dante: Omai; cioè oggimai 1, figliuolo, S’appressa la città, ch'à nome Dite. Et in questo si può dire che l’autore intendesse che quando Virgilio disse nel sesto libro dell’Eneida: Noctes atque dies patet atri janua Ditis, che questo Ditis si ponesse per lo nome della città, e non per lo nome dello Idio infernale, lo quale si chiama in grammatica Pluto, et anco Dis, Ditis, additando perch’elli arricchisse delle nostre morti, come tutti li più delli sponitori di Virgilio vogliono, intendendo per questo nome Ditis, l’inferno. Coi gravi cittadin; questo dice perchè in essa finge l’autore che sieno li gravi peccatori, col grande stuolo; dice perchè in quella città finge che vi sia grande multitudine. Et io: Maestro. Qui risponde l’autore, confermando quel che à detto Virgilio, dicendo: Et io; cioè Dante dissi, s’intende: Maestro; cioè Virgilio, lo quale chiama in più nomi simili e convenienti a lui, come appare nel processo del libro, già le sue meschite; cioè torri, o campanili della città predetta. Meschita è vocabolo sarainesco, et è luogo ove li Saracini vanno ad adorare; e perchè quelli luoghi ànno torri a modo di campanili ove montano li sacerdoti loro a chiamare lo popolo che vada ad adorare Idio, però l’autore chiama le torre di Dite meschite. Là entro certo nella valle cerno; cioè veggio, Vermiglie, come se di fuoco uscite Fossero; cioè come si fossono affocate, et el 2 mi disse; cioè Virgilio: Il foco eterno; dello inferno, Ch’entro le affoca, le dimostra rosse, Come tu; cioè Dante, vedi in questo basso