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232 | i n f e r n o viii. | [v. 43-57] |
affezione. Perchè il Maestro; cioè Virgilio, accorto lo sospinse; quello spirito che volle tirare Dante, Dicendo: Via costà con li altri cani; cioè irosi: l’iroso s’assomiglia al cane, com’è detto di sopra nell’altro canto. Et allegoricamente si dimostra qui, in quanto pone lo rimedio di Virgilio, che alcuna volta con forza e fatti, et amari detti si cessano li nocimenti delli irosi, quando li rimedi si fanno dalla ragione che è significata per Virgilio.
C. VIII — v. 43— 51. In questi tre ternari lo nostro autore finge che Virgilio facesse poi festa a sè Dante, e manifestasseli le condizioni di quello peccatore, dicendo: Lo collo; cioè mio, dice Dante, poi con le braccia; cioè sue di Virgilio, m’avvinse; cioè legò a me Dante; cioè abbracciommi il collo: Baciommi il volto; cioè a me Dante; e disse; Virgilio a me Dante: Alma; cioè anima, sdegnosa; cioè de’ vizi e de’ peccati, Benedetta colei, che in te si cinse; cioè benedetta colei, che ti portò nel suo ventre; cioè la madre tua, che essendo gravida, si cingea in sul suo ventre, ove tu eri, e così si cingea in te. Questi fu al mondo persona orgogliosa; cioè questo peccattore del quale è detto di sopra, fu persona con la mente gonfiata1 e sdegnosa, che a sè attribuiva ogni cosa, e tutti li altri vilipendeva; et è questo grado di superbia, che molti chiamano arroganza. Bontà non è, che sua memoria fregi; cioè adorni; cioè non à veruna fama di bontà: Così se l’ombra sua qui furiosa; cioè irosa, e così è qui l’anima sua, come fu nel mondo. Quanti si tegnon or lassù; cioè nel mondo, gran regi; cioè infiniti e sanza numero, Che qui staranno; cioè in questa palude, come porci in brago; cioè stanno nel loto. Di sè lasciando orribili dispregi; cioè non lasciando di loro, se non cose da essere avute in orrore, et in dispregio! Et è notabile, e qui non à altra esposizione che litterale, se non nella prima parte ove lo autore allegoricamente dimostra che la ragione si rallegra alla sensualità, quando la vede disposta a le virtù, et odiare li vizi.
C. VIII — v. 52-57. In questi due ternari lo nostro autore manifesta lo suo desiderio a Virgilio, e pone la risposta che sopra ciò li fa Virgilio, dicendo: Et io; cioè Dante dissi, s’intende: Maestro; cioè Virgilio, lo qual chiama per diversi nomi, come detto è di sopra cap. ii, molto sarei vago; cioè desideroso, Di vederlo attuffare in questa broda; cioè costui del quale è detto di sopra; e chiama broda la palude2, perch’era piena di loto come broda, Prima che noi uscissimo del lago; cioè della palude che noi navichiamo. Per questo dimostra Dante che dell’iroso ognuno si sdegna, e desiderane vendetta. Et elli; cioè Virgilio disse, s’intende, a me; cioè Dante: Avanti che