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stra per la montata in su la piccola nave, e poscia per ritrovarsi nel gran pantano. Sotto il governo d’un sol galeoto. Questo era uno demonio che incontanente lo nominerà Flegias, che s’interpetra turbazione di mente: veramente questa è quella che guida la navicella che significa li movimenti dell’ira, e dell’accidia; e secondo la lettera ancora si conviene in tal navicella tale governatore e solo: imperò che a tutti i cerchi passati à posto uno solo demonio, come principe di quel luogo. Che gridava: Or se’ giunta, anima fella? Questo finge Dante che Flegias gridasse inverso lui, anima fella chiamandolo; cioè colpevole, per spaurirlo e farlo rimanere.

C. VIII — v. 19-24. In questi due ternari pone l’autore nostro la risposta che finge che facesse Virgilio a Flegias per lui a quel che disse di sopra, dicendo: Flegias, Flegias. Questo Flegias, secondo che fingono li poeti fu padre di Coronide, la quale Febo vizioe e nacquene Esculapio che fu detto Idio della medicina. E per questo, indegnato Flegias mise fuoco nel tempio di Febo, et arselo; e per questo finge Virgilio che sia nell’inferno, et interpetrasi ira fremente, o vero turbazione di mente; e però lo nostro autore in questo luogo il pone per lo demonio dell’ira, seguendo Virgilio che per lo incendio, che fece mosso dal furore dell’ira, del tempio di Febo, lo pose nell’inferno, ove dice nel vi dell’Eneida: Phlegyasque miserrimus omnes Admonet, et magna testatur voce per umbras: Discite iustitiam moniti, et non temnere Divos. E replica il nome per mostrare maggiore indignazione, et è colore retorico che si chiama conduplicazione, tu gridi a voto; cioè in vano. Disse lo mio Signore; cioè Virgilio, a questa volta. Dice perchè l’altre volte li venia fatto quello, perchè veniva che trovava i peccatori dell’ira, i quali pigliava in su la navicella sua, e poi li attuffava nel pantano chiamato Stige; e quest’è conveniente fizione quanto alla lettera. Et allegoricamente s’intende di quelli del mondo che in su la navicella dell’ira governati sono dalla turbazione della mente e straboccati nella tristizia della mente, e del corpo. Più non ci avrai; cioè me e Dante, che sol passando il loto; cioè se non tanto quanto noi peneremo a passare questa palude, e per questo dà a intendere che non deono rimanere. Et allegoricamente significa che la sensualità, e la ragione di Dante non s’era occupata nell’ira, se non tanto quanto starà in pensamento et in considerazione di quella trattandone, che fia tanto quanto penerà a compiere il suo passamento della palude: imperò che poi tratterà d’altre cose, e poi fa la similitudine, dimostrando come fece Flegias, dicendo: Quale colui che grande inganno ascolta Che li sia fatto, e poi se ne rammarca; cioè lamenta, Fecesi Flegias nell’ira accolta; tale quale si fa colui che ascolta che li sia fatto grande inganno, e poi si lamenta; così si lamentò Flegias re-