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filosofia, alla quale debba recarsi questo poema, è l’etica; imperò che, benchè in alcuno passo si tratti per modo speculativo, non è per cagione dell’opera, che abbi richiesto questo modo di trattare, ma incidentemente per alcuna materia occurrente1. Noi troviamo non la dichiarazione sistematica dei quattro sensi che potessero essere nella Divina Commedia, ma il senso morale non disgiunto da quello allegorico, e considerata nella interpretazione di questo quella legge eterna, che fa essere il peccato pena a se stesso, e ci fà gustare nelle virtù una dolcezza di paradiso. Chi pecca, egli scrive, è obbligato alla pena, e secondo questa obbligazione si può dire che sia già nell’inferno2: la virtù leva in alto l’anima umana3: e l’intelletto tanto è beato, quanto Lui pensa e Lui intende, cioè Iddio, ultimo termine del pensiero4. Nè si creda per questo ch’egli, cercando il senso allegorico, solamente risguardi agli uomini che sono nel mondo. Risguarda ancora alle anime separate dal corpo5; e spiega il testo con quell’acume che è proprio di lui, e che alcuna volta potrebbe parere sottilità, e con quella minuta esattezza, della quale già gli facemmo merito nella estimativa dei nostri lettori. Così Caronte quando fa cenno a quelli che debba raccogliere sulla nave, e quando col remo batte qualunque si adagia, da una parte significa l’ incitamento al peccato per coloro che sono nel mondo, e la compiacenza che questi abbiano delle cose mondane; dall’altra, significa il rappresentamento all’anima condannata del peccato che abbia commesso, e la coscienza viva che la tormenta6. Imperocchè Caronte è il simbolo dell'amore disordinato, che porta gli uomini ad ogni male; e per la sua nave si vuole intendere la colle-