79Non sanza prima far grande aggirata,1
80Venimmo in parte, dove il nocchier, forte,
81Usciteci, gridò: qui è l’entrata.
82Io vidi più di mille in su le porte
83Da ciel piovuti, che stizzosamente
84Dicean: Chi è costui, che sanza morte
85Va per lo regno della morta gente?
86E il savio mio Maestro fece segno
87Di voler lor parlar segretamente.
88Allor chiusono un poco il gran disdegno,
89E disser: Vien tu solo, e quei sen vada,
90Che sì ardito entrò per questo regno.2
91Sol si ritorni per la folle strada;
92Pruovi, se sa: chè tu qui rimarrai,
93Che li ài scorta sì buia contrada.3
94Pensa, Lettore, se io mi sconfortai
95Nel suon delle parole maladette,
96Ch’io non credetti ritornarci mai.
97O caro Duca mio, che più di sette
98Volte m’ài sicurtà renduta, e tratto4
99D'altro periglio, che in contra mi stette,5
100Non mi lasciar, diss’io, così disfatto:6
101E se il passar più oltre c’è negato,
102Ritroviam l'orme nostre insieme ratto.7
103E quel Signor, che lì m’avea menato,
104Mi disse: Non temer, che il nostro passo
105Non ci può torre alcun: da tal n’è dato.
- ↑ v. 79. Aggirata per giro, come imperiato per imperio, usato per uso e via dicendo. Ennio adoperò occasus per occasio. E.
- ↑ v. 90. Che sì sicuro
- ↑ v. 93. Nidobeato legge «Che scorto l’ài per sì buia contrada» Allora scorto è participio accorciato da scortato, come cerco, trovo, per cercato, trovato. E.
- ↑ v. 98. C. M. sigurtà
- ↑ v. 99. D’alto periglio,
- ↑ v. 100. Disfatto vale rovinato, perduto. E.
- ↑ v. 102. C. M. Ritorniam l’ombre nostre