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c a n t o   viii. 223

49Quanti si tegnon or lassù gran regi,
      Che qui staranno come porci in brago,
      Di sè lasciando orribili dispregi!
52Et io: Maestro, molto sarei vago
     Di vederlo attuffare in questa broda,
     Prima che noi uscissimo del lago.
55Et elli a me: Avanti che la proda1
     Ti si lasci veder, tu sarai sazio;
     Di tal disio converrà, che tu goda.
58Dopo ciò poco vid’io quello strazio
      Far di costui alle fangose genti,
      Che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
61Tutti gridavan: A Filippo Argenti;
     E il Fiorentino spirito bizzarro
     In sè medesmo si volgea coi denti.2
64Quivi il lasciamo, che più non ne narro;
     Ma nell’orecchie mi percosse un duolo,
     Per ch’io avanti l’occhio intento sbarro.3
67Lo buon Maestro disse: Omai figliuolo,
     S’appressa la città, ch’ à nome Dite,
     Coi gravi cittadin, col grande stuolo.
70Et io: Maestro, già le sue meschite
     Là entro certo nella valle cerno
     Vermiglie, come se di fuoco uscite
73Fossero; et el mi disse: Il foco eterno,
     Ch’entro le affoca, le dimostra rosse,
     Come tu vedi in questo basso inferno.
76Noi pur giugnemmo dentro all’alte fosse,
     Che vallan quella terra sconsolata:
     Le mura mi parean che ferro fosse.

  1. v. 55. C. M. Innanti che
  2. v. 63. C. M. si mordea coi denti.
  3. v. 66. C. M. intento gli occhi sbarro.