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o vero accorta, si possa vedere, de’ beni mondani, dicendo che tutto l’oro che fu già in terra; e però dice: sotto la luna: imperò che sotto la luna sono i beni terreni: imperò che la luna è l’ultimo pianeta. E che già fu; si può intendere sotto la luna, di quest’anime stanche; non potrebbe farne posare una di quest’anime stanche. Potrebbesi anco intendere; E che fu già di queste anime stanche 1; cioè che fu posseduto da loro nel mondo, Non poterebbe farne posar 2 una; di queste sì fatte anime. E qui finisce questa prima lezione, e cominciasi la seconda.
Seguita: Maestro, diss’io lui ec. Questa è la seconda lezione del canto ove l’autor dimostra una bella sentenzia della fortuna, e pone lo discendimento del quarto cerchio nel quinto, e dividesi questa lezione in sette parti: imperò che prima pone la dimanda, che fa Dante a Virgilio, dell’essere della fortuna; nella seconda pone la risposta di Virgilio, quivi: Et elli a me; nella terza pone lo discendimento loro nel quinto cerchio, quivi: Or discendiamo ec.; nella quarta pone lo loro processo, quivi: Noi ricidemo ec.; nella quinta pone quello che in esso cerchio ritrova, quivi: Et io, che di mirar ec.; nella sesta pone la dichiarazione che fa Virgilio, quivi: Lo buon Maestro ec.; nella settima pone la continuanza del loro cammino, quivi: Così girammo ec. Divisa la lezione, ora è da vedere la sentenzia litterale.
Poiché Dante ebbe udito ricordare di sopra a Virgilio la fortuna disse: O Maestro, dimmi che è fortuna che tu mi ricordasti ora, che à in podestà li beni mondani? E Virgilio risponde: O creature sciocche, quanto sete ignoranti! Ora odi la mia sentenzia. Dio che sa ogni cosa, pose 3 li Cieli, e pose a tutti suo governatore, dividendo a ogni parte la sua luce igualmente, sicché il più eccellente, ebbe più eccellente governatore; e così alli beni mondani pose una intelligenzia che li distribuisse secondo la sua volontà, oltre al volere delli uomini. Quinci seguita che alcuno signoreggia, et alcuno è sottoposto, secondo lo giudicio di questa intelligenzia che sta occulto nella felicità, come lo serpente nell’erba. E soggiugne molte belle sentenzie, che si vedranno toccando il testo: poi soggiugne lo discendere nel quinto cerchio, sopra una fonte che usciva d’una grotta, e faceva uno rio; e quel rio fa una palude che si chiama Stige, et in quella palude, dice che vide genti ignude tutte fangose e triste come chi à ricevuto offensione, le quali si percoteano con mano e co’ piedi, con la testa e col petto, troncandosi ancora co’ denti a pezzo a pezzo. Onde Virgilio dice a Dante,