Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/25


i n t r o d u z i o n e xxi

Quel nesso, che indivisibilmente congiunge i due stati morali dell’uomo, cioè il temporale e l’eterno, e quella necessità razionale, che è nella lettera, di contenere anco il senso allegorico, ci rivelano un pensiero profondo, nel quale si raccolga tutto l’ordin morale coi principii che intimamente lo informano. L’uomo hà l’arbitrio di prendere la via del vizio o quella della virtù, ma non può sciogliersi dalle leggi regolatrici della sua vita, però che non può trasmutare la sua propria essenza in un’altra. Uno adunque è il fine, al quale invariabilmente egli debba aspirare con tutta l’anima, e indirizzare il corso delle sue operazioni; uno il cammino, che abbia a condurlo a questa pienezza del suo possibile perfezionamento: fine, che la mano del Creatore gli prescrisse nel sistema medesimo delle sue facoltà, e cammino che gli sia fatto vedere dalla luce che risplende a tutti i creati intelletti. S’egli, sconvolgendo quest’ordinamento di cose, sottomette alla sensualità la ragione, e l’uomo all’animale, viola una legge eterna, una legge organica nella costituzione del mondo, come quello che si argomenta di rinunziare la sua propria natura; e nella stessa violazione di questa legge trova inevitabilmente un gastigo, il quale non possa non avere con quella una certa proporzione e conformità. Se poi non vada errando per torti sentieri, o se da questi si riconduca nella diritta strada, e seguitando s’innalzi alla cima della virtù e della scienza, in questo suo progresso egli dovrà godersi una felicità, che sempre cresca di grado in grado finchè abbia il suo adempimento in quel termine sommo. Or dovendo il senso secondare alla ragione, che il guidi, e questo non quietando se non là ov’è il principio e il fine di tutte le cose, non potrà l’uomo moralmente aggiungere a questo fine se prima egli non