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fosse la causa, non furono condotte più oltre che tutta la prima Cantica. Scrive il Buti, (e ciò fanno tutti gli espositori) massimamente per coloro, i quali debbano essere ajutati alla perfetta intelligenza di questo libro; e però discende anco a determinare il valore delle parole, e non trascura le minute particelle del testo1: onde il suo e gli altri commenti prendono di quando in quando la forma di annotazioni, le quali abbiano alcun legame nell’ordine del discorso. Alla qual forma erano quei commentatori naturalmente portati dalla disposizione intellettuale, in che si reca l’uomo che dovendo interpretare ad altri un’opera letteraria, tiene il libro davanti a se, e leggendolo, e via via dichiarandolo, congiunge le parole di esso con le parole sue proprie, e le brevi spiegazioni con le diffuse, quasi diverse fila nel ragionamento che intesse.

Ma a dimostrare tutto il valore intimo di questo lavoro del Buti, bisognerebbe che al paragone del poema di Dante, ed anco valendomi dei criterii già da me stabiliti a doverlo dirittamente interpretare, io facessi la prova di tutte le sue dichiarazioni del senso allegorico, s’elle son vere, o perchè e quanto non sono. Lo che ora non debbo fare. Miti, storia, grammatica, e tutta la esposizione letterale non facevano la difficoltà grande che avessero a superare gl’interpreti. Trarre in luce i riposti intendimenti, e manifestare al mondo il sistema scientifico contenuto nella Divina Commedia: questo era il lavoro più forte che si dovesse eseguire; e intorno a questo faremo alcune brevi considerazioni, le quali ci condizionino a giudicare fondatamente nella sua parte più sostanziale l’opera di Francesco da Buti.


  1. Determinando il senso del vocabolo greggia, una volta dice esser mandra, e brigata di pecore (p. 374 e 376): un’altra dice essere il luogo dove sta la mandria delle pecore (p. 466). A p. 796 spiega dotta per indugio, ec.