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   [v. 112-115] c o m m e n t o 193

risponde che sì; ma non vera, e però facendo avversazione dice: Tutto che questa gente maladetta; cioè avvengadio che questa gente maladetta, In vera perfezion giammai non vada; cioè che sieno veramente perfetti come i salvati, Di là, più che di qua, esser aspetta; cioè aspetta d'esser più perfetta, s’intende, di là da la gran sentenzia del di’ del giudizio; cioè poi che fia data la gran sentenzia: chè allora sarà il corpo con l’anima, che di qua sia perfetta innanzi alla detta sentenzia: imperò che al presente 1 è pur l’anima sanza lo corpo. E così sta che dopo il giudicio cresceranno li tormenti, perchè l’anime dannate saranno più perfette che non sono al presente che sono sanza il corpo, et allora saranno col corpo, benché la loro non sia vera perfezione, come sarà quella dei beati.

C. VI — v. 112-115. In questo ternario et uno verso pone l’autore lo suo processo e il discendimento del terzo cerchio nel quarto, e fa due cose, perchè prima mostra il discendimento 2; secondo mostra quel che vi trovò, quivi: Quivi ec. Dice adunque: Noi; cioè Virgilio et io Dante, aggirammo a tondo; cioè in circuito, quella strada; cioè del cerchio terzo, Parlando più assai, ch’io non ridico; in questa mia cantica, Venimmo al punto dove si digrada; cioè venimmo al punto ov’era il discendimento nel quarto cerchio, Quivi; cioè in quella entrata del quarto cerchio, trovammo Pluto, il gran nimico. Pluto pone qui l’autore per lo demonio che à a tentare e punire dell’avarizia e prodigalità, de’ quali vizi si tratta nel seguente canto. E questo finge l’autore perchè Pluto 3 s’interpetra terra, e l’avarizia è per rispetto delle cose terrene; benché li autori pongano Pluto essere signore dell’inferno, perchè nel centro della terra si finge essere lo inferno, e le fizioni si possono mutare, secondo che l’uomo vuole. E benché litteralmente l’autor ponga lo suo discenso di cerchio in cerchio, il quale fu per considerazione, e finge discenso, perché considerare il discenso del peccato, o vero il peccato, è descendere, e quanto è maggiore, tanto si discende più; allegoricamente si può intendere di quelli del mondo, che di vizio discendono in vizio: imperò che dalla infidelità può venire la lussuria che è più grave; e dalla lussuria, la gola ch’è ancora più grave; e della gola, la ira et accidia e li altri peccati che sono più gravi, come apparirà di sotto. E qui finisce il canto sesto e comincia il settimo.


  1. G. M. imperò che avale è pur
  2. Secondo; cioè secondamente o in secondo luogo, è maniera ellitica, la quale tiene del latino e piacque al nostro Commentatore, che fino dal principio à terzio e terzo per terzamente ec. E.
  3. Forse qui Pluto s’interpetra terra, perchè la terra è produttiva, e Pluto potria derivare da πλουτέω; sono ricco, abondo. In fatti si reputò il Dio delle ricchezze. E.
Inf. T. I. 13