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con tutta perfezione, non mutato però lo sesso della natura. Udirà quel che in eterno rimbomba; cioè udirà l'ultima sentenzia che rimbomba; cioè risuona in eterno: cioè nell’eternità: però che Idio ab eterno così ordinò e dispose; o puossi intendere ancora, che in eterno rimbomba; cioè che non avrà fine in eterno; cioè in perpetuo, ponendo lo vocabolo non propriamente nella sua significazione, per licenzia poetica e colore retorico.
C. VI — v. 100-105. In questi due ternari si pone il processo del cammin dell’autore e la quistione che Dante move a Virgilio, quivi: Per ch’io ec. Dice adunque: Sì trapassammo; cioè io Virgilio, et io Dante, per sozza mistura Dell'ombre e della pioggia; come detto è di sopra, a passi lenti; dice perchè andavano adagio, Toccando un poco la vita futura; cioè trattando dello stato dell’anime dopo la resurrezione. Per ch’io dissi: Maestro. Qui muove Dante quistione a Virgilio se li tormenti de’ dannati cresceranno, o mancheranno dopo la resurressione nell’ultimo giudicio, e però dice: esti tormenti, cioè de’ dannati, Cresceranno ei dopo la gran sentenza; cioè dell’ultimo giudicio, O fien minori; che non sono al presente, o saran sì contenti; come sono ora? Sì che domanda tre cose; cioè se cresceranno, o se mancheranno, o se saranno in quello medesimo stato. Allegoricamente si dee intendere, che queste quistioni fa la sensualità alla ragione.
C. VI — v. 106-111. In questi due ternari si pone la risposta di Virgilio alla quistione proposta da Dante, dicendo che i tormenti cresceranno. Dice adunque: Et elli; cioè Virgilio disse, a me; cioè Dante, rispondendo alla quistione: Ritorna a tua scienza; cioè alla filosofia, e per questo dimostra che fosse filosofo, Che vuol, quanto la cosa è più perfetta; come sarà l’anima congiunta col corpo, che sarà più perfetta che separata, Più senta il bene, e così la doglienza; cioè come sente più il bene, così sente più il male; e questo si vede nelli animali, che’ più perfetti, più sentono il bene e il male, che i men perfetti. Tutto che questa gente maladetta. Parla qui de’ dannati; questo dice perchè sono due perfezioni; l’una vera la quale è de’ beati che ànno le quattro dote che danno la glorificazione al corpo; cioè agilità, sottilità, clarità, et impassibilità; e l’altra falsa che è de’ dannati, che non ànno queste dote. Et usa qui una conclusione corollaria che seguita per le premesse; ma non è di principale intenzione, nè del principale dubbio: il principale dubbio era, se li tormenti doveano crescere, o mancare, o stare in uno medesimo essere; et a questo fu data la risposta, còme di sopra appare. Ora da quella risposta induce questa conclusione, dichiarando uno dubbio che altri potrebbe muovere dicendo: Tu ài detto che quanto la cosa è più perfetta ec.: dunque li dannati ànno perfezione. A che