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[v. 49-57] | c o m m e n t o | 185 |
conoscimi; cioè riconosci me: se sai: Tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto; cioè tu nascesti innanzi ch’io morissi, sì che ben mi puoi riconoscere. Et io; cioè Dante dissi, a lei: L’angoscia, che tu ài, Forse ti tira fuor della mia mente; cioè della mia memoria, Sì che non par ch’io te vedessi mai; cioè io Dante, vedesse mai te, anima, nel mondo. Ma dimmi chi tu se’. Ora domanda Dante perchè propiamente si nomini, dicendo: Ma dimmi chi tu se’; tu anima, che in sì dolente Loco se’ messa; come è questo dell’inferno, et in sì fatta pena; cioè se’ tu anima, Che s’altra; cioè pena, è maggio; cioè maggiore, nulla è sì spiacente; come questa che tu sostieni. Questa parte pose l’autore per continuare la sua fizione parlando dell’inferno; ma volendola intendere allegoricamente per quelli del mondo si può dire, che per questo l’autore voglia mostrare che tali uomini viziosi, quando veggono li virtuosi, si fanno loro innanzi, e voglionsi fare conoscere, e farsi reputare nel cospetto loro qualche cosa, o per parentado, o per ricchezza, o per altra vanità del mondo; ma lo savio risponde, che benchè lo dovesse conoscere e reputar qualche cosa per le dette condizioni, è tanto vile lo peccato nel quale sono, che ogni cosa di reputazione1 che sia in loro, è oscura. E così conchiude che non sono d’avere fama; ma più tosto infamia, et induce loro medesimi a manifestazione e riconoscimento del loro vizio. E questo significa la domanda sua, nella quale dimostra che dolente è la condizione del goloso ancora nel mondo, e à2 pena più spiacente che sia: imperò che il luogo del goloso nel mondo è tra bestie, e la pena sua è angoscia, in quanto desidera di saziare la gola; e pentimento in quanto si pente poi che l’à saziata, o per male di stomaco, o di capo, o di fianco, o di gotte, o d’altra maniera, ch’elli sente per la sua golosità.
C. VI - v. 49-57. In questi tre ternari pone l’autore come quell’anima si manifestò prima all’origine3 dimostrando di quale città fosse; appresso manifesta la colpa sua e la pena; appresso mostra d’avere questa consolazione in questa sua pena, ch’elli avea grande compagnia: e ciascuna di queste parti si contiene nel suo ternario. Dice nel testo l’autore: Et elli; cioè quell’anima disse, a me; cioè Dante: La tua città; cioè Firenze, la quale è la città dell’autore, ch’è piena D’invidia; e per questo dimostra li Fiorentini essere invidiosi molto, sì, che già trabocca il sacco; cioè ch’ella trabocca, come il sacco quando vi si mette più che non può tenere,