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XVIII | introduzione |
scritto prima di lui come richiedesse l’altezza e il modo del parlare1 del fiorentino poeta; e movesi anch’esso a scrivere il suo Commento con la modestia di un uomo, che intenda a soddisfare, secondo le sue forze, a coloro, i quali si dilettano di brevità, e stanno contenti ad una chiara e netta e intiera spiegazione del libro. Non allegazioni di autorità, nè prove, se non quando le renda necessarie il detto medesimo dell’Autore: esposte le favole, narrate le storie secondochè abbiano convenienza col testo; e di moderne storie nè di novelle non troppo credula vaghezza, ma giudiziosa parsimonia, o silenzio2: la dottrina, non dichiarata a comodo, ovvero per salti, ma cercata con diligenza costante, e seguitata anco nelle parti più minute e per tutto l’ordine del poema: e tutte queste cose discorse con uno stile che possa esser bello ed efficace per nativa schiettezza e semplicità, e che poi fù reputato degno di far testo di lingua alle nostre lettere. Così adoperando egli si confidava che la sua opera avesse a piacere, se non a tutti, certamente a coloro, i quali erano stati ascoltatori delle sue lezioni con assidua frequenza, e che gli avevano dato eccitamento a doverla scrivere. E gli uomini dotti non tardarono a conoscerne i molti pregi, pei quali abbia ad esser cara agli studiosi della Divina Commedia; ed io credo che per la pubblicazione di essa sarà universalmente aperta e confermata la verità di questo giudizio.
Il Boccaccio, che hà veduta ideale e tanto lume di scienza, quanto valga ad essere grandissimo dicitore, prima spiega la lettera di ciascun canto, indi passa alle allegorie, distinguendo l’una parte dall’altra nel suo trattato per esser