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174 i n f e r n o

22Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
     Le bocche aperse, e mostrocci le sanne:
     Non avea membro che tenesse fermo.
25E il Duca mio, distese le sue spanne,
     Prese la terra, e con piene le pugna
     La gittò dentro alle bramose canne.1
28Qual è quel cane, ch’abbaiando agugna,
     E si racqueta, poi che il pasto morde,
     Che solo a divorarlo intende e pugna;
31Cotal si fecer quelle facce lorde 2
     Dello demonio Cerbero, che introna
     L’anime lì sì, ch’esser vorrien sorde.3
34Noi passavam su per l’ombre che adona
     La greve pioggia, e ponevam le piante
     Sopra lor vanità, che par persona.
37Elle giacean per terra tutte quante,
      Fuor d’una, ch’a seder si levò, ratto
     Ch’ella ci vide passarsi davante. 4
40O tu, che se’ per questo Inferno tratto,
     Mi disse, riconoscimi, se sai:
     Tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto.
43Et io a lei: L’angoscia, che tu ài,
     Forse ti tira fuor della mia mente,
     Sì che non par ch’io te vedessi mai.
46Ma dimmi chi tu se’, che in sì dolente,
     Loco se’ messa, et in sì fatta pena, 5
     Che s’altra è maggio, nulla è sì spiacente. 6

  1. v. 26, 27. C. M. Prese la terra con piene le pugna Gittolla
  2. v. 31. C. M. Così si fecer
  3. v. 33. C. M. L’anime sì ch’esser vorreben sorde.
  4. v. 39. C. M. Quando ci vidde passarli davante.
  5. v. 47. C.M. et ài sì fatta pena,
  6. v. 48. Maggio dal majus de’ Latini, e vive tuttora nelle parole composte viamaggio, riomaggio ec. E.